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Il mondo incantato e l’industria della coscienza

In qualche modo si è sempre mantenuta la differenza tra il mondo incantato, per intenderci quello ad esempio delle fiabe, e il mondo della comunicazione. Il primo interessato non a comunicare utili informazioni circa il mondo esterno ma piuttosto a chiarire i processi interiori che hanno luogo in un individuo (queste le parole di Bruno Bettelheim); il secondo, quello della comunicazione, orientato a trasferire continuamente informazioni, valutazioni e proposte attinenti la realtà percepita e l’universo dell’esperienza vissuta consapevolmente, rendendole disponibili su una scala illimitata. Insomma, la distinzione, variamente modulata, tra dimensione interiore e ambiente a noi esterno.

La distanza tra realtà e fantasia, tra storie effettive e narrazioni simboliche è stata per molto tempo appannaggio della nostra coscienza, capace di tracciare una linea di demarcazione tra i due mondi, e quindi in grado di entrare nelle vicende narrate in un romanzo o rappresentate in un film con la consapevolezza di trovarsi di fronte a un autonomo prodotto dell’immaginario di un autore. Perfino la immedesimazione e lo straniamento, cioè gli effetti del sentirsi partecipi delle storie fino al punto di perdere il riferimento alla propria realtà, come avviene nella cosiddetta sindrome di Stendhal, sono possibili se si ammette una certa discontinuità tra quello che ci viene raccontato e la nostra diretta esperienza.

Situazioni patologiche a parte, ovviamente, ad esempio le allucinazioni, le visioni indotte, la schizofrenia. Patologiche perché nel soggetto viene a mancare quella distinzione tra personalità cosciente ed esplorazione interiore del proprio sé. Questo vale per gli individui e per i gruppi, sino all’intera società.

Che cosa si produce nel mondo attuale della comunicazione? Un vero esproprio della coscienza, che viene esternalizzata, gestita da gruppi di influencer, da centri di potere, da entità transnazionali, irraggiungibili, impersonali. I singoli e l’intera collettività vengono messi nelle condizioni di non poter più gestire un proprio specifico mondo simbolico, fatto di ricordi di tempi, eventi e persone significative del proprio passato, di una immaginazione legata alla propria esperienza, alle proprie credenze e aspettative, ai propri affetti, corredata di rituali più o meno significativi, di atteggiamenti più o meno condivisi che formano specifiche regioni del senso, le quali si legano ad eventi che permettono, come sosteneva Jung, di intraprendere e consolidare un cammino per la conoscenza di sé.

La comunicazione come risultato di un insieme di risorse messe in atto da vari dispositivi ha praticamente cessato di esistere, la comunicazione come effetto dell’interesse mostrato da qualcuno verso di noi, che fa domande e aspetta risposte, non ha quasi più ragione d’essere. I poteri dell’informazione agiscono ormai come uno psichiatra perverso che è interessato che il suo paziente permanga in uno stato di incertezza o di passività o di esaltazione controproducente. L’agenda delle tematiche dotate di senso è già stata fissata altrove, il fatato mondo del Mulino Bianco che trascinava l’incantesimo nei consumi, e produceva dei cortocircuiti tra mondo della veglia e mondo del sogno, è lontano anni luce.

L’agenda dice, di volta in volta, da circa trent’anni a questa parte, vorrei dire scherzando dai tempi della mucca pazza, che di volta in volta dobbiamo occuparci di qualcosa di ben preciso, dando la prevalenza a timori, orizzonti incerti, soluzioni controverse, allarmi più o meno giustificati. Stabilita dai media, cioè dai potentati economici dominanti, la fine del motore a scoppio in favore della propulsione elettrica, determinata la siccità del pianeta alternandola con la minaccia di catastrofici allagamenti, introdotto nelle menti l’allerta per una, cento, mille nuove pandemie, da gestire ovviamente con accanimento e insieme disinvoltura, dimostrato che mancheranno le risorse alimentari necessarie se continuerà l’attuale trend di crescita della popolazione, e nello stesso tempo martellando con mille inchieste che i nuovi nati, in Italia e in Europa almeno, sono in continua decrescita, predicando la fratellanza universale e l’utilità di un unico governo del mondo per realizzare il quale scopo è necessario fare scoppiare guerre e incrementare nuovi armamenti, mostrando vincite strepitose alle lotterie mentre si blatera e vaticina sulla fine della carta moneta e anche degli assegni, trattando la finanza internazionale come una soap opera di trasformisti, avventurieri per dire il giorno dopo che tutto è rientrato, il risultato è davvero, come scriveva Enzensberger, il primato dell’industria della coscienza. “I mezzi elettronici non devono la loro irresistibilità a qualche scaltro trucco, ma alla forza elementare di profondi bisogni sociali che riescono ad affermarsi nella stessa forma pervertita in cui si presentano oggi questi mezzi” (Palaver, trad. it. Einaudi, Torino 1976).

Attenzione! Io sto dicendo che abbiamo bisogno di fiabe, e precisamente di quelle che funzionano da specchi magici, come affermava Bettelheim (Il mondo incantato, trad. it. Feltrinelli 1977), quelle che ci permettono di uscire dalla immaturità per entrare a percepire, accanto alla continuità logica degli eventi e alle loro precise coordinate, quelle forze archetipiche, ancestrali, ridisegnatrici del tempo e degli eventi che l’attuale potere mediatico vorrebbe conculcare, delegando ad astuti imbecilli di regime, reclutabili sui social, la verità, le verità di cui abbiamo bisogno, spingendo chi è più debole, chi ha meno risorse spirituali ad una di loro distruttiva emulazione.

Ma i segnali in direzione inversa sono numerosi, una direzione inversa difficile, complessa, oscura ma sensibile e riconoscibile come una forma di nuova coscienza diffusa, non prigioniera e, quanto occorre, ribelle.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]