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Meta e Siae non trovano l’accordo, la musica italiana fuori dai social

Se siete iscritti a Facebook e Instagram potreste averlo già notato, ma certi video pubblicati da utenti e influencer risultano sospettosamente silenziosi. Nel corpo della descrizione viene riportato un lapidario «audio non disponibile», eppure i soggetti nelle immagini sembrano reagire a musica e parole. Ci sono buone possibilità che questi alienanti episodi siano il frutto della rottura tra Meta e la Società italiana autori ed editori (SIAE), un pasticcio contrattuale che impatta su tutte le entità il cui copyright è registrato in Italia. 

Fumata nera, insomma, per quanto riguarda il rinnovo della licenza sul diritto d’autore, scaduta il primo gennaio 2023. Per SIAE, il mancato accordo sarebbe da attribuire da una decisione «unilaterale e incomprensibile» adottata dal gigante statunitense, posizione che ha un fondamento di verosimiglianza, visto che nell’equazione è proprio Meta ad avere il coltello dalla parte del manico: con il tavolo saltato l’azienda si limiterà a incanalare i propri utenti verso altri contenuti, mentre l’agenzia dovrà rinunciare effettivamente a una fetta di introiti.

Difficile credere che il risultato attuale sia però destinato a rimanere immutato. «Abbiamo accordi di licenza in oltre 150 paesi nel mondo e continueremo a impegnarci per raggiungere un accordo con Siae che soddisfi tutte le parti», riporta sibillinamente Meta dando a intendere che la disponibilità della Big Tech sia fortemente condizionata dalle condizioni che le sono state proposte. Considerando che il CEO Mark Zuckerberg ha definito il 2023 come «l’anno dell’efficienza», ovvero quello dei tagli selvaggi, vien facile pensare che il problema sia di origine monetaria, tuttavia ciò potrebbe essere vero solamente in parte, poiché gli attriti tra SIAE e social si estendono su tematiche decisamente più spinose e interessanti.

«Viene richiesto di accettare una proposta unilaterale di Meta prescindendo da qualsiasi valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio. Tale posizione, unitamente al rifiuto da parte di Meta di condividere le informazioni rilevanti ai fini di un accordo equo, è evidentemente in contrasto con i principi sanciti dalla Direttiva Copyright per la quale gli autori e gli editori di tutta Europa si sono fortemente battuti», sostiene [1] la società italiana. Ancor prima dello scoglio del vil denaro, insomma, c’è quello della gestione dei dati.

L’impresa californiana non è d’altronde certamente celebre per la sua trasparenza. Facendo leva sul segreto aziendale ha sempre agito al fine di offuscare la vista a chiunque cercasse di definire le sue verticalizzazioni nazionali, ovvero ha messo i bastoni tra le ruote a tutte le entità che han cercato di farle i conti in tasca. Il caso in questione non farebbe eccezione. SIAE avrebbe infatti domandato a Meta di quantificare i ricavi relativi alle colonne sonore registrate in Italia, richiesta che avrebbe voluto sanare il cosiddetto value gap, ma la cui approvazione avrebbe scoperchiato un importante vaso di pandora offrendo a legislatori e osservatori uno spaccato del reale giro economico di Meta.

Difficile che la Big Tech faccia un passo indietro, rischierebbe di creare un precedente emulabile all’estero, più facile che l’Italia si dimostri accomodante pur di incassare qualcosa. Nel frattempo Meta continuerà a far piazza pulita delle loro librerie musicali. Feed, storie e reel di Facebook verranno bloccati, mentre le clip di Instagram saranno incerimoniosamente silenziate o comunque saranno direzionate verso contenuti visti con favore dalla piattaforma.

[di Walter Ferri]