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L’UE approva l’obbligo di ristrutturazione “green” della casa: chi pagherà?

Il Parlamento europeo ha approvato [1] – con 343 voti favorevoli, 216 voti contrari e 78 astenuti – la direttiva che prevede l’obbligo di realizzare interventi di efficientamento energetico su tutti gli immobili del territorio comunitario. Dall’intesa raggiunta ieri a Strasburgo si dovrebbe arrivare nelle prossime settimane all’atto definitivo grazie alla fase di negoziati tra le istituzioni europee, il cosiddetto trilogo. Uno degli obiettivi del testo, bocciato da tutte le forze della maggioranza italiana, è l’approdo degli edifici residenziali presenti all’interno dell’Unione europea alla classe energetica E entro il 2030, compiendo poi il salto verso la classe D entro il 2033. Si agirà prioritariamente sugli immobili più energivori, appartenenti alla classe G, che in Italia ammontano a circa 1,8 milioni, su un totale di 12 milioni di edifici residenziali. Si prospetta, dunque, una spesa non trascurabile che dovrebbe finire sulle spalle dei proprietari delle abitazioni, a meno di ingenti finanziamenti da Bruxelles. Non a caso la discussione più attesa è quella relativa ai fondi da destinare alla misura, che dovrebbe avvenire nelle prossime settimane.

La direttiva approvata a Strasburgo non si concentra esclusivamente sugli immobili residenziali, ma traccia la strada anche per gli edifici pubblici, che dal 2026 dovranno essere costruiti secondo il modello ZEB (Zero emission buildings). Dal 2028, invece, l’obbligo verrà esteso a tutti i nuovi edifici. Per quanto riguarda i lavori di ristrutturazione, gli immobili non residenziali e quelli pubblici dovranno raggiungere le classi energetiche D ed E rispettivamente entro il 2027 e il 2030. Il testo prevede poi degli obblighi in materia di energie rinnovabili: dal recepimento della direttiva, gli impianti solari diventeranno obbligatori in tutti i nuovi edifici pubblici e i nuovi edifici non residenziali. Per quelli esistenti ci sarà tempo fino al 31 dicembre 2026. 6 anni dopo sarà il turno di tutti gli edifici sottoposti a ristrutturazioni importanti.

Interessante è poi il capitolo relativo alle deroghe, formalizzate grazie all’approvazione di diversi emendamenti al testo licenziato dalla Commissione Industria lo scorso febbraio. Potranno essere esclusi dal raggiungimento degli obiettivi di efficientamento gli edifici protetti di particolare pregio storico e architettonico, i luoghi di culto, gli edifici temporanei, le seconde case utilizzate per meno di quattro mesi all’anno. Si aggiungono all’esenzione anche gli edifici pubblici utilizzati per l’edilizia residenziale sociale al fine di evitare una crescita dei canoni di locazione dovuta ai lavori di ristrutturazione. Infine, in fase di recepimento della direttiva, i Paesi membri potranno chiedere alla Commissione europea di adattare gli obiettivi dell’atto alla luce di “comprovate ragioni di fattibilità tecnica ed economica”, escludendo dall’efficientamento energetico “particolari categorie di edifici residenziali”. Ipotesi ampie, potenzialmente ampissime nel capitolo sugli esoneri per fattibilità tecnica ed economica: proprio sugli esoneri si giocherà l’effettiva efficacia della norma, che non è escluso resti poco più che un auspicio green.

Secondo i fautori della norma il Parlamento europeo ha compiuto un passo importante verso quella che si prospetta una rapida inversione di marcia a favore dell’efficientamento energetico, a meno di eventuali stop o affossamenti. La strettezza dei tempi è stata oggetto di critiche da parte della maggioranza italiana, che ha accusato l’Unione europea di non considerare «la realtà del patrimonio immobiliare» del Paese, come sostenuto dal presidente della Commissione Bilancio della Camera, Giuseppe Mangialavori. «La riqualificazione di milioni di edifici residenziali avrebbe un costo insostenibile. E chi non procederà a dispendiosi e impegnativi interventi di ristrutturazione, potrebbe vedere il proprio immobile deprezzato e svalutato», ha poi aggiunto. Svalutazione che spesso rappresenta la fase iniziale dei processi di gentrificazione e turistificazione, sempre più presenti [2] nelle città contemporanee.

Al passo compiuto dal Parlamento europeo dovrà fare seguito il lavoro delle altre istituzioni, Commissione e Consiglio su tutti, per arrivare a una soluzione economica che tuteli gli Stati, e dunque i cittadini, con maggiori difficoltà in materia, rispettando i principi comunitari di coesione e crescita comune. L’Italia, così come gli altri Paesi membri, si troverà a fronteggiare sia una spesa diretta, relativa all’efficientamento degli edifici pubblici, sia indiretta, sotto forma di incentivi, bonus e sgravi ai privati per sollecitarli all’adattamento. In caso di mancato rispetto della direttiva, scatterebbe poi la procedura d’infrazione in capo alla Commissione europea, spesso accompagnata da sanzioni e multe. Danno e beffa evitabili esclusivamente da un piano programmatico a tinte sociali di Bruxelles. L’alternativa è quella di un’altra misura che rischia di fare pagare la transizione ai cittadini.

[di Salvatore Toscano]