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Il nuovo decreto migranti presentato dal governo Meloni

Dopo la tragedia di Cutro, che ha visto morire in mare oltre 70 migranti, l’Esecutivo ha convocato un Consiglio dei Ministri straordinario nel comune calabrese. Nell’occasione, il governo ha approvato [1] un nuovo decreto immigrazione, col dichiarato obiettivo di colpire con pene molto severe i trafficanti di esseri umani e di regolarizzare i flussi migratori in entrata. «Siamo abituati a un’Italia che va a cercare migranti nel Mediterraneo, ma questo governo vuole andare a cercare scafisti in tutto il globo terracqueo», ha affermato in conferenza stampa la Premier Giorgia Meloni, aggiungendo che il tema dovrà essere «portato anche a livello internazionale, perché su questo più si riesce ad armonizzare le legislazioni e più si fa una cosa utile».

La misura più discussa tra quelle contenute nel decreto riguarda l’inasprimento delle pene contro gli scafisti. Quelle più generali passano “da uno a cinque anni” a “da due a sei anni”; se si tratta di un traffico che coinvolge un gruppo di 5 o più soggetti, si può arrivare poi fino a sedici anni di carcere. Rimane invece invariata la multa da 15mila euro per ogni migrante fatto salire a bordo in maniera illegale. Ma soprattutto viene introdotto, per la prima volta, il reato di “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina“, per il quale si rischiano dai 10 ai 20 anni per lesioni gravi o gravissime a una o più persone; dai 15 a 24 anni per la morte di una persona; dai 20 ai 30 anni per la morte di più persone.

I primi cinque articoli del decreto sono invece incentrati sull’immigrazione regolare. La norma prevede infatti, per il periodo 2023-2015, un ampliamento dei flussi di lavoratori extra Ue in ingresso. Nel triennio in questione, “le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale e per lavoro autonomo” saranno stabilite con Dpcm, anche sulla base di una “analisi del fabbisogno del mercato del lavoro effettuata dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali previo confronto con le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale”. Nella norma si legge anche che “in via preferenziale” sono assegnate quote riservate ai lavoratori di Paesi che, in collaborazione con lo Stato italiano, “promuovono per i propri cittadini campagne mediatiche aventi a oggetto i rischi per l’incolumità personale derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari”.

All’interno del decreto trova spazio anche una misura di semplificazione e accelerazione delle procedure di rilascio del nulla osta al lavoro (che potrà essere concesso “in ogni caso qualora non sono state acquisite dalla questura le informazioni relative agli elementi ostativi” nell’arco dei 60 giorni previsti dall’articolo 22 del Dlgs 286/1998). Anche al di fuori delle quote stabilite, si punta inoltre a favorire l’ingresso e il soggiorno per chi completa nel suo Paese d’origine corsi di formazione professionale e “civico-linguistica” riconosciuti dall’Italia e promossi dal Ministero del lavoro. La durata massima dei rinnovi del permesso di soggiorno rilasciato per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo o per ricongiungimento familiare passa da due a tre anni. Sul piano del rispetto dei contratti di lavoro e della congruità del numero di richieste avanzate, ad occuparsi delle verifiche sugli ingressi dei lavoratori stranieri saranno le «organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». L’Ispettorato del lavoro, in partnership con l’Agenzia delle Entrate, avrà comunque la possibilità di svolgere controlli a campione.

L’articolo 5 della norma è dedicato ai lavoratori agricoli. Si stabilisce che i datori che abbiano presentato regolare domanda e non sono risultati assegnatari di tutta o di parte della manodopera richiesta potranno ottenere, in linea con quanto sarà stabilito nei successivi decreti sui flussi che vedranno la luce nell’arco del triennio “l’assegnazione dei lavoratori richiesti con priorità rispetto ai nuovi richiedenti, nei limiti della quota assegnata al settore”. L’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari viene poi rafforzato attraverso “adeguate professionalità per proteggere il mercato nazionale delle attività internazionali di contraffazione e criminalità agroalimentare, anche connesse ai flussi migratori irregolari”.

Il decreto contiene anche norme per il commissariamento della gestione dei Centri per l’accoglienza o il trattamento dei migranti, al fine di farne proseguire il funzionamento. In ultimo, la norma stabilisce il potenziamento dei centri di permanenze per i rimpatri (Cpr) fino alla fine del 2025: la realizzazione di tali strutture, in cui vengono trattenuti gli stranieri in vista dell’espulsione, sarà compiuta “anche in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione ex Dlgs 159/2011 e dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea”. A vigilare su tali processi sarà l’Anac. Il ministro Salvini ha aggiunto in conferenza stampa che l’intenzione del governo è quella di dotare ogni regione di un Cpr.

Rispetto ai contenuti del nuovo decreto e a come è stato “sponsorizzato”, si levano voci critiche. Non tanto sull’obiettivo – totalmente condiviso – di una strenua lotta ai trafficanti di esseri umani, bensì rispetto agli effetti pratici delle nuove norme, che di fatto potranno colpire non i grandi “organizzatori” dei viaggi a terra, ma soltanto coloro che guidano i barconi, che molto spesso non si trovano al vertice della piramide illegale ma ne costituiscono solo un tassello intermedio. Criminali che, tra l’altro, sono già oggi potenzialmente soggetti a punizioni molto severe: «Dire che in questo settore c’è bisogno di nuove norme penali è una follia», sostiene [2] Luca Masera, docente di diritto penale all’Università degli studi di Brescia. «Agli scafisti sono già inflitte pene severissime. Se quelli accusati dell’ultimo naufragio fossero ritenuti colpevoli, per il combinato dei diversi reati di cui sono accusati la pena potrebbe arrivare a 30 anni. Nel nostro ordinamento, del resto, esiste già la fattispecie di ‘morte come conseguenza di altro delitto doloso’». Insomma, quella del governo sull’immigrazione potrebbe di fatto apparire come un’operazione di facciata, resa indispensabile dopo la tragedia di Cutro ma sicuramente non foriera di concrete e apprezzabili conseguenze sul piano della repressione nei confronti dei veri “burattinai” della tratta.

L’unico effetto tangibile dell’approvazione del decreto è stato, per ora, quello di aver ricompattato [3] tutte le opposizioni in una linea di forte contestazione. «Il governo si batta per cambiare le regole di Dublino. Parlano di interesse nazionale ma non hanno il coraggio di chiedere a Orban di condividere le responsabilità dell’accoglienza», ha dichiarato la neo segretaria del Pd Elly Schlein, sostenendo che la scelta di aver organizzato il Cdm a Cutro rappresenti «un messaggio tardivo, che viene dopo un lungo silenzio e anche un’assenza». Le ha fatto eco Giuseppe Conte, che ha criticato Meloni per aver usato «per anni la bacchetta magica del blocco navale per risolvere il dossier immigrazione», mirando soltanto «a vincere le elezioni, proponendo misure e soluzioni ridicole, ma presentate con il piglio deciso di chi ha soluzioni forti». Parole dure anche dal leader di Iv-Azione Carlo Calenda, solitamente “morbido” con il governo su molti altri fronti: «Hanno detto che vogliono fare un blocco navale e ci hanno vinto le elezioni, poi hanno detto che è colpa dei migranti se partono, poi però che li andranno a prendere lì. Poi dicono che però devono arrivare 500mila persone, ma vogliono restaurare i decreti sicurezza. Non è una politica, sono frasi in libertà. Ognuno in questo governo si alza e dice la prima cosa che gli passa per la testa sull’immigrazione».

[di Stefano Baudino]