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Il balzo nel vuoto

“Zefiro torna e il bel tempo rimena, e i fiori e l’erbe, sua dolce famiglia…”. La lirica di Petrarca mi risuona in testa, a mo’ di ritornello, mentre percorro col mio cagnolino Gigio il viottolo quotidiano tra i boschi, in questa mattina che sa ancora di alba.

Qualche giorno fa il terreno pareva di pietra, un susseguirsi di larghe chiazze grigie tra erbe secche e rade: la conseguenza di un autunno senza pioggia e di un inverno senza neve. Unica eccezione, un cespo di violette pallide e minuscole, spuntate tra le foglie morte ai bordi del sentiero.

Ma son bastati due giorni di nevischio trasformatosi presto in piovasco perché la terra partorisse primavera. 

Oggi la terra è lieta, l’aria dolce. Nelle vigne sono fioriti i susini, Le siepi di biancospino si stanno ricoprendo di una filigrana di piccole gemme. Viole, crochi, erba veronica, minuscole corolle di euforbia… Nei prati fanno capolino i primi cespi di tarassaco. Dai boschi, in anticipo sulla stagione, arriva il canto dei merli, mentre nella piccola radura dove sono state poste a svernare, le api, richiamate dal tepore dell’ora, tentano il primo incerto volo intorno agli alveari.

Bellezza commovente e precaria di una primavera precoce, ancora minacciata dalle gelate di fine inverno e dalla sete dei lunghi mesi senz’acqua di stagioni impazzite.

L’orologio climatico si è rotto e non per fatalità. È la follia tutta umana di un modello di vita che, nella corsa al potere e al profitto, ha mercificato la natura e la società, immemore di limiti e di saggezza.

È il balzo nel vuoto, l’inno ad un futuro mostruoso, quello esaltato dal Marinetti agli inizi del secolo scorso, nel Manifesto del Futurismo: Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente”. Vi si glorificano la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, e il disprezzo della donna”.

E, insieme, il “progresso”, quello tutto capitalistico della rivoluzione industriale: Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta…”

Un orizzonte bionico da cui, insieme alla natura, è bandita l’umana gentilezza, ogni consapevolezza del nostro essere non padroni, ma parte di un ecosistema la cui morte sarà la nostra morte.

Di quelle esaltate profezie la Terra sta morendo: guerra, violenza sulle donne, inquinamento, malattia, sfruttamento sociale e ambientale, cementificazione, devastazione attraverso le cosiddette Grandi Opere…

Non so se siamo ancora in tempo a fermare il treno che corre verso il precipizio: se la salvezza è possibile, verrà non dai palazzi del potere che di devastazione campa, ma dalle periferie, dalle vittime non rassegnate di questo sistema; e sarà insieme rivoluzione ambientale e sociale.

In ogni caso, la natura sa difendersi. I mutamenti climatici indotti dall’irresponsabilità umana sono il boomerang che ritorna, a colpire chi l’ha scagliato.

[di Nicoletta Dosio – da sempre attiva nelle lotte sociali e politiche sul territorio piemontese, è uno dei volti storici del Movimento NO TAV. Condannata ai domiciliari per aver partecipato a una manifestazione pacifica del Movimento, ma rifiutandosi di sottostarvi e divenire così “carceriera di sé stessa”, Nicoletta è stata imputata di almeno 130 evasioni, che le sono valse la condanna a oltre un anno di carcere presso il penitenziario di Torino]