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Ecuador: scandali e proteste indigene mettono all’angolo il governo liberista

Alta tensione in Ecuador. Il Paese Sudamericano sta attraversando un periodo burrascoso in cui si sono succeduti omicidi, elezioni amministrative, proteste di massa e procedimenti di impeachment. Dopo la sonora sconfitta elettorale subita dal blocco di centro-destra liberista afferente al Presidente Guillermo Lasso, lo stesso dovrà adesso sostenere un procedimento di messa in stato di accusa a suo carico. Il tutto mentre il CONAIE, la poderosa organizzazione dei popoli indigeni del Perù, in passato più volte in grado di far cadere governi con la propria mobilitazione, ha annunciato la ripresa delle proteste generali anche a seguito dell’uccisione di un proprio leader.

Nella giornata di ieri, dopo una sessione di 8 ore, è stato annunciato che la commissione parlamentare dell’Ecuador, che indaga su uno scandalo di corruzione, ha approvato – con 6 voti a favore e 1 contrario – di avviare il procedimento [1] di impeachment nei confronti del Presidente Guillermo Lasso, il quale è accostato al traffico di droga e a possibili crimini contro la sicurezza dello Stato e della pubblica amministrazione. La decisione arriva dopo oltre un mese di indagini e dopo che alcuni media hanno divulgato registrazioni audio e documenti su un presunto schema di corruzione nelle società energetiche pubbliche supervisionate da Rubén Cherres, con stretti legami con Lasso, e Danilo Carrera, chiamato El Gran Padrino (Il Grande Padrino). Oltre a questo scandalo, sono stati anche approfonditi i legami del Presidente Lasso con la mafia albanese, i quali sarebbero emersi da un’indagine nazionale della polizia. Affinché la messa in stato di accusa del presidente di trasformi in una sua destituzione occorrerà l’approvazione da parte del Parlamento e della Corte Costituzionale: se Lasso dovesse essere rimosso dall’incarico, subentrerebbe il vicepresidente Alfredo Borrego.

Alla metà di febbraio scorso Lasso, la cui popolarità è ormai ai minimi termini, ha subito una pesante sconfitta elettorale nelle elezioni amministrative e nei referendum svoltisi in concomitanza. I cittadini ecuadoregni – chiamati a rinnovare le cariche amministrative di comuni e prefetture, oltre che la composizione del consiglio di partecipazione cittadina, e a esprimersi su 8 quesiti proposti dal governo – hanno determinato una netta sconfitta del blocco di centro-destra che sostiene il governo. Le elezioni amministrative segnano l’affermazione netta dei candidati di Revolucion Ciudadana (RC – partito politico che fa riferimento all’ex Presidente socialista Rafael Correa) e del partito Pachakutik (emanazione politica del CONAIE – la più grande organizzazione per i diritti delle popolazioni indigene dell’Ecuador). Al momento delle elezioni amministrative, in base alle città e regioni conquistate, Revolucion Ciudadana e Pachakutik risultano i primi due partiti a livello nazionale. Per quanto riguarda Pachakutik non possiamo però non ricordare le profonde spaccature dovute a infiltrazioni da parte di personaggi corrotti dall’establishment e da Stati esteri come gli USA, di cui abbiamo parlato [2] in occasione della contestata vittoria alle ultime elezioni presidenziali in cui uscì vincente l’attuale Presidente Lasso.

Anche per quanto concerne i quesiti referendari proposti al contempo delle elezioni amministrative, intesi a introdurre delle modifiche alla costituzione, il blocco di governo è risultato perdente. I quesiti riguardavano l’autorizzazione all’estradizione di persone coinvolte in narcotraffico, riforme accentranti negli organismi centrali dell’apparato giudiziario, la riduzione del numero di parlamentari a discapito delle regioni più povere e di quelle amazzoniche, due quesiti relativi alla protezione delle risorse idriche e i cosiddetti pagos por servicios ambientales, ossia le compensazioni in moneta per la protezione degli ecosistemi.

Alla fine di febbraio, sulla scia della vittoria alle urne, mentre era già in corso l’indagine preliminare per avviare il processo di impeachment del Presidente Lasso, l’organizzazione indigena CONAIE ha annunciato la mobilitazione generale permanente chiedendo le dimissioni del Presidente. Il CONAIE, a parte l’indagine cui è sottoposto Lasso, accusa il capo del governo ecuadoriano di non ricoprire legittimamente il suo mandato e lo accusa del mancato rispetto degli accordi del 2022 siglati a seguito delle enormi proteste [3] represse nel sangue nel giugno dello scorso anno (a copertura delle quali sulle pagine de L’Indipendente era stato pubblicato un ampio reportage [4]).

Il quadro politico-sociale rischia di infuocarsi ancor di più a seguito dell’omicidio politico, avvenuto dopo che il CONAIE ha dichiarato mobilitazione generale, del dirigente indigeno Eduardo Mendúa, assassinato [5] da alcuni sicari mentre si trovava nella sua fattoria. Mendúa era impegnato nella lotta per i diritti delle popolazioni indigene e contro lo  sfruttamento delle risorse estrattive. Qualche ora prima del suo assassinio, l’attivista indigeno appartenente al popolo A’i Kofán aveva confermato l’impegno a difendere il territorio Kofán, denunciando la violazione dei diritti indigeni e segnalando l’azienda PetroEcuador EP e il governo nazionale di Lasso.

Secondo il presidente della CONAIE, Leónidas Iza, l’uccisione di Mendúa «è l’evidenza dell’ostilità del governo verso chi lotta per migliorare i problemi socio-ambientali dei popoli e delle nazionalità indigene, al quale si vuole imporre il modello estrattivo delle risorse». Iza ha inoltre denunciato i pedinamenti e la vigilanza poliziesca subita da tutti i dirigenti indigeni e dichiarato responsabile il governo di quello che è successo o che succederà ai leader del CONAIE. Insomma, l’Ecuador è seriamente sull’onda di una nuova stagione di tensione sociale e il tempo di Lasso – così come quello di gran parte dei leader del centro-destra filoamericano, liberista e anti-indigeno dell’America Latina – sembra avere i giorni contati.

[di Michele Manfrin]