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Bergamo, inchiesta sul Covid: indagati Conte e Speranza per omicidio colposo plurimo

A tre anni dall’inizio della pandemia la Procura di Bergamo ha chiuso [1] l’inchiesta sulla gestione della prima ondata, facendo tremare coloro che all’epoca rivestivano ruoli di spicco a livello istituzionale: sono 19, infatti, gli indagati a vario titolo per i reati di epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo e rifiuto di atti di ufficio, e tra questi troviamo l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza. I nomi noti coinvolti nell’inchiesta, però, non si fermano di certo a quelli appena menzionati, visto che tra gli indagati vi sono anche il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, l’ex assessore al Welfare Giulio Gallera, il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, il coordinatore dell’allora Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo, l’ex capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli. Gli avvisi di conclusione dell’indagine sono in via di notifica per tutti ad eccezione di Conte e Speranza, per i quali si prepara la trasmissione degli atti al Tribunale dei ministri, che dovrà valutare le loro posizioni.

Sono queste, dunque, le conseguenze della chiusura dell’indagine, con cui si è cercato di individuare e chiarire le eventuali responsabilità dei tanti morti verificatisi nella provincia di Bergamo. Per farlo, nel mirino degli inquirenti sono finiti non solo la repentina chiusura e riapertura dell’ospedale di Alzano e la mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana (precisamente nei Comuni di Alzano lombardo e Nembro), ma anche la mancata applicazione e il mancato aggiornamento del piano pandemico atto a contrastare il rischio pandemia lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), risultando lo stesso fermo al 2006.

“La conclusione delle indagini, com’è noto, non è un atto d’accusa“, ha tenuto a precisare la Procura di Bergamo stante l’estrema rilevanza del caso, che ha subito generato un certo clamore. Eppure – seppur quelle menzionate in precedenza siano appunto semplici ipotesi di reato – non si può non sottolineare come sia alquanto comprensibile lo scalpore che la notizia ha suscitato, non solo poiché l’attività svolta dalla Procura ha consentito di ricostruire i fatti così come si sono svolti a partire dal 5 gennaio 2020, ma anche in virtù del fatto che l’inchiesta coinvolge le già citate personalità di spicco a livello politico e scientifico-istituzionale, che ovviamente hanno subito preso posizione a riguardo. «Anticipo subito la mia massima disponibilità e collaborazione con la magistratura», ha fatto sapere l’ex premier Conte, che ha sottolineato di sentirsi «tranquillo di fronte al Paese e ai cittadini italiani» avendo «operato con il massimo impegno e con pieno senso di responsabilità durante uno dei momenti più duri vissuti dalla nostra Repubblica». Sereno si è detto anche l’ex ministro della Salute Speranza, precisando di essere «sicuro di aver sempre agito con disciplina ed onore nell’esclusivo interesse del Paese», mentre su una linea più polemica sembra porsi il presidente della Lombardia Attilio Fontana, il cui legale – l’avvocato Jacopo Pensa – non solo ha affermato di non aver avuto «il minimo segnale di partecipare al banchetto degli indagati», ma ha anche aggiunto: «Prendiamo atto che la Procura di Bergamo ha sottolineato che la conclusione delle indagini non è un atto di accusa. Vedremo, vedremo. Non è neanche un atto di difesa».

Ad accogliere positivamente la notizia, invece, l’associazione dei familiari delle vittime Covid19 denominata #Sereniesempreuniti, il cui direttivo commentando la chiusura delle indagini ha affermato [2]: “Da oggi si riscrive la storia della strage bergamasca e Lombarda, la storia delle nostre famiglie, delle responsabilità che hanno portato alle nostre perdite. La storia di un’Italia che ha dimenticato quanto accaduto nella primavera 2020, non a causa del Covid19, ma per delle precise decisioni o mancate decisioni”. “Da sempre ci siamo battuti per la verità per i nostri cari nonostante l’omertà che ha sempre contraddistinto questa storia”, ha inoltre aggiunto il direttivo dell’associazione, precisando che la decisione conferisce ai familiari la forza per continuare a combattere con ancora più determinazione le battaglie “della memoria e della difesa della dignità della vita e della morte”, cosicché il sacrificio dei loro cari non sia vano e “mai più una pandemia o una qualsivoglia emergenza ci trovi così impreparati”.

[di Raffaele De Luca]