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Hotel Rigopiano, 25 assolti: esplode la rabbia dei parenti delle vittime

A oltre sei anni da quel 18 gennaio 2017, quando una valanga travolse l’hotel Rigopiano uccidendo 29 persone, il tribunale di Pescara ha emesso la sentenza di primo piano: 25 assolti, solamente 5 condannati per reati minori. La lettura della sentenza ha ha fatto esplodere la protesta in aula, costringendo polizia e carabinieri ad intervenire per proteggere il giudice Gianluca Sarandrea dalla rabbia dei parenti delle vittime. L’accusa aveva chiesto pene per complessivi 150 anni di carcere per i 30 imputati, ma il giudice li ha assolti quasi tutti. Condanne solo per il sindaco di Farindola (2 anni e 8 mesi per omissione dell’ordinanza di inagibilità e mancato sgombero dell’hotel), due funzionari della provincia (3 anni e 4 mesi per mancato monitoraggio e omessa pulizia della sede stradale dalla neve), il gestore dell’hotel (appena 6 mesi per falso) e un tecnico (6 mesi per aver firmato la relazione tecnica su abusi edilizi della struttura). Gli avvocati dei parenti delle vittime hanno già annunciato ricorso.

Tra le 30 persone indagate per i fatti di quella sera vi erano politici, funzionari, tecnici, dirigenti prefettizi e gestori dell’hotel, con ipotesi di reato che spaziavano [1] dal disastro colposo alle lesioni plurime colpose, al falso e anche all’abuso edilizio. L’accusa aveva richiesto condanne pesanti in particolare per l’ex prefetto Francesco Provolo (12 anni), il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta ed il suo tecnico comunale Enrico Colangeli (11 anni e 4 mesi), i dirigenti della provincia di Pescara Paolo d’Incecco e Maurizio di Blasio (10 anni) e per i dirigenti della prefettura Ida de Cesaris e Leonardo Bianco (rispettivamente 9 e 8 anni). Per l’accusa le principali responsabilità [2] dell’accaduto ricadono in particolare sul Comune di Farindola e sulla Provincia di Pescara. Il Comune infatti, secondo gli inquirenti, non mise in atto alcuna delle procedure necessarie, quali l’attivazione della Commissione valanghe, del Piano emergenze o degli strumenti urbanistici preventivi, come la realizzazione delle barriere protettive antivalanghe. Il giorno prima, inoltre, vi fu un’ordinanza di chiusura delle scuole dovuta al maltempo, con la quale si sarebbe potuto provvedere anche allo sgombero dell’hotel. La Provincia, d’altro canto, non avrebbe monitorato e reso agibile i 9km di strada che costituivano l’unica via di accesso all’hotel, che gli ospiti avrebbero potuto utilizzare per abbandonare la struttura e nella quale rimasero impantanati i soccorsi. Inoltre, non fece in modo di sostituire la turbina rotta necessaria per ripulire le strade dalla neve e non dispose lo stop alla circolazione, che avrebbe di fatto sancito l’inagibilità dell’hotel e la conseguente evacuazione. Secondo il sostituto procuratore Andrea Papalia, che ha analizzato il comportamento della Regione, la mancata realizzazione della Carta valanghe, prevista con decreto legge nel 1992 e la cui realizzazione spettava alla Regione Abruzzo, è stata un «fallimento», un «ritardo inaccettabile» per il quale la Regione dovrebbe «rispondere penalmente». La difesa, invece, ha puntato tutto sull’imprevedibilità dell’evento.

«Sei anni buttati qua dentro! Per fare che? Tutti assolti, il fatto non sussiste! Quattro minuti di chiamata! Chi ha chiamato mio fratello? Chi ha chiamato?» ha esclamato dopo la sentenza Francesco d’Angelo, fratello di Gabriele d’Angelo, cameriere presso la struttura che circa cinque ore prima della tragedia aveva chiamato il Centro coordinamento soccorsi della prefettura per chiedere che le strade fossero liberate dalla neve affinché i clienti potessero lasciare la struttura. Alle sue urla hanno fatto eco quelle degli altri famigliari delle vittime, infuriate per la leggerezza delle pene inflitte. I loro legali hanno già annunciato che presenteranno ricorso.

[di Valeria Casolaro]