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Carenza di frutta e verdura, per i media è sempre colpa della Brexit

Ancora prima che la Brexit diventasse effettiva, i media di massa hanno delineato in modo compatto degli scenari apocalittici, con un eccesso di catastrofismo e la diffusione di una serie di fake news talvolta persino assurde e inverosimili: dal possibile arresto del premier alla fuga della famiglia reale da Londra, dal crollo della sterlina alla vittoria sicura del Remain in un eventuale secondo referendum.

Per evitare la Brexit, i media hanno tentato di orientare il consenso, facendo spesso pura propaganda e innescando un clima di psicosi in Gran Bretagna e all’estero. Uno degli aspetti che rientra nel campo della disinformazione mainstream è infatti l’ostinazione con cui si continua a spacciare la retorica del fantomatico “sogno europeo”, ossia di un progetto calato dall’alto, sbagliato alla radice per molteplici motivi e, soprattutto, fallimentare nei fatti. Eppure, si è creato un mito con i suoi dogmi e i suoi tabù difficili da scalfire perché inevitabilmente ci si va a scontrare contro la narrazione dei media di massa che tra fallacie e tecniche auree dell’ingegneria sociale cercano di aggirare la questione accusando sguaiatamente chiunque tenti di mostrarne le anomalie, le ambiguità e i disastri.

Un leitmotiv più volte ripreso dagli organi di stampa, prima della Brexit, suonava così: «Alla scadenza dei termini i supermercati, le farmacie e i negozi di ortofrutta resteranno vuoti. Possibile anche la mancanza di carta igienica». Quando questa versione da Armageddon non si è verificata, si è cercato di appigliarsi a qualunque notizia di cronaca per mostrare al mondo l’errore dell’uscita dalla UE

Va in questa direzione l’articolo di Repubblica [1] del 22 febbraio 2023, dal titolo: “Brexit e freddo, la tempesta perfetta. A Londra razionate frutta e verdura”. Il pezzo è stato ripreso anche da Dagospia [2] con una introduzione che, con il solito sarcasmo che contraddistingue il sito web, accusa la Brexit del razionamento dei prodotti freschi: «L’unico cetriolone che ha regalato la Brexit agli inglesi è quello per il loro sedere», leggiamo.

Nell’articolo a firma di Antonello Guerrera, si parla del razionamento di frutta e verdura nel Regno Unito. Se nel titolo si incolpa esplicitamente l’uscita dall’UE (“Brexit e freddo”), per cui il Regno Unito importa meno dall’Europa, nel pezzo si ricostruisce in maniera ben diversa e meno spettacolizzata le ragioni della carenza dei prodotti freschi sugli scaffali. Problema che è limitato, in verità, ai pomodori e ad altri tipi di verdura o frutta importati tradizionalmente nell’isola in questa stagione dal Nord Africa o dall’estremo sud dell’Europa

La penuria di disponibilità all’origine nei Paesi produttori è causata in primis da fenomeni climatici irregolari e di maltempo recenti verificatisi sia in Africa settentrionale sia nel sud della Spagna (ossia le aree dove il Regno si approvvigiona da decenni del 90-95% di questi alimenti fra dicembre e marzo). In secondo luogo, si possono annoverare complicazioni legate all’«alta inflazione scatenata dalla guerra in Ucraina» spiega Guerrera, e «gli alti costi energetici». Visti i prezzi al rialzo dei produttori spagnoli, «alcuni distributori inglesi preferiscono non comprare più nulla a differenza dei colleghi europei, poiché il business non sarebbe sostenibile».

E la Brexit, dunque, cosa c’entra, se non nelle scelte della catena di approvvigionamento

Ce lo spiega ancora il corrispondente di Repubblica: «Ovviamente, c’è chi dà la colpa alla Brexit, soprattutto on line», anche se, specifica poco dopo, gli esperti incolpano non l’uscita dalla UE ma “Madre Natura”. Quindi, non è colpa della Brexit, ma basta un riferimento ai commenti che spopolano on line (dove, peraltro?) per puntare il dito contro l’uscita dall’UE nel titolo dell’articolo. Articolo che, come ben sappiamo, non tutti leggono, soffermandosi all’anticipazione e traendo sul contenuto un’idea vaga, in questo caso fallace. Volutamente pilotata per continuare a sostenere la narrazione del “sogno europeo”.

[di Enrica Perucchietti]