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Cosa dice il più grande test sulla settimana lavorativa di quattro giorni

Settimana lavorativa corta oppure no? Se ne discute da molto tempo, soprattutto per capire quanto lavorare quattro giorni su sette, anziché cinque, possa o meno impattare sulla produttività dell’azienda e su una serie di altri fattori. A questa, e tante altre perplessità, ha cercato di rispondere il più ampio studio [1] sull’argomento mai realizzato, che ha coinvolto 61 aziende di settori diversi (anche un locale di fish and chips) nel Regno Unito e 2.900 dipendenti, a cui è stato chiesto di lavorare per circa 34 ore alla settimana (anziché 40 o più), continuando a ricevere lo stesso stipendio.

In linea generale, dalla ricerca – svolta in Gran Bretagna da giugno a dicembre 2022 – è emerso più o meno quello che ci si aspettava: che la riduzione dell’orario di lavoro aumenta il benessere di chi lavora, riduce stress e malattie, non intacca la produttività delle aziende, migliora l’equilibrio tra lavoro e vita privata e per questo riduce il numero di dimissioni dei dipendenti.

Il dato più eclatante fra quelli raccolti dal centro studi Autonomy e dall’organizzazione non profit 4 Day Week Global, che hanno sviluppato il progetto insieme a università europee e americane (fra cui l’Università di Cambridge e il Boston College) è che circa il 71% dei dipendenti ha dichiarato di sentirsi molto meno stressato lavorando un giorno in meno. Tant’è che i ricercatori hanno riscontrato una riduzione del 65% dei giorni di malattia e un calo del 57% del numero di licenziamenti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Motivo per cui, 56 imprese su 61 proseguiranno con la sperimentazione, e 18 fra queste adotteranno la settimana corta in maniera definitiva. Molti dei dipendenti intervistati – prima, durante e dopo la sperimentazione – hanno tra l’altro affermato di aver trovato più facile conciliare il lavoro con gli impegni familiari e sociali: il 60% dei dipendenti è riuscito a incastrare meglio gli orari lavorativi con quelli di cura domestica e per il 62% è stato più semplice coltivare la propria vita sociale.

«Siamo davvero incoraggiati dai risultati, che hanno mostrato i molti modi in cui le aziende hanno trasformato la settimana di quattro giorni da un sogno in una politica realistica, con molteplici vantaggi», ha commentato il sociologo David Frayne, ricercatore associato presso l’Università di Cambridge. Senza tuttavia intaccare la produttività dell’azienda. Anzi. Durante il periodo di prova i fatturati delle stesse aziende hanno registrato  – seppur minimo – un aumento medio dell’1,4%.

Ma i benefici più grandi ottenuti non sono economici. «Ho odiato la pandemia, ma ci ha fatto vedere la realtà da un altro punto di vista, e ci ha fatto capire l’importanza di avere una mente sana, e che la famiglia è importante», ha detto un amministratore delegato. Tutti i dipendenti coinvolti hanno infatti riferito di aver dedicato molto più tempo ai propri figli e di aver cominciato o ripreso attività extra lavorative come: fare sport, cucinare, fare musica e volontariato. Abitudini che hanno permesso loro di mostrarsi molto più positivi anche sul posto di lavoro e di sentirsi più apprezzati dal proprio capo. Il fatto di lavorare con un obiettivo – finire tutto quello che c’è da fare in quattro giorni – in molti degli intervistati ha rafforzato lo spirito di unione e di squadra. I dipendenti hanno dichiarato di essersi impegnati tutti insieme a ottimizzare il tempo in ufficio, proponendo ad esempio riunioni più brevi, con ordini del giorno più chiari e diretti.

Tutto sommato si tratta per davvero di un ottimo risultato. Certo, proporre la settimana corta come modello lavorativo per tutti è ancora piuttosto rischioso. Gli studi, seppur numerosi, sono ancora insufficienti e hanno riguardato perlopiù aziende di piccole dimensioni, ‘monitorate’ per poco tempo. Nelle ricerche andrebbero pian piano integrate imprese molto più grosse, che operano in settori totalmente diversi fra loro e che hanno meno propensione a ridurre le ore lavorative.

L’Istituto bancario Intesa Sanpaolo ha fatto da apripista sul nostro territorio, introducendo da gennaio la possibilità di lavorare 4 giorni a settimana, a patto di lavorare un’ora in più al giorno (9 anziché 8). Sul tema, in Italia, c’è effettivamente fermento. Roberto Benaglia, segretario generale dei metalmeccanici della Fim Cisl, dice che sul fronte del benessere dei lavoratori dovremmo seguire la scia europea. «La nostra ambizione è quella di coinvolgere nei prossimi mesi una 50ina di grandi player del comparto, da Stellantis ad Abb, realtà in cui avviare percorsi sperimentali, lavorando per gradi». Difficile pensare che per la manifattura possa esserci una riduzione dell’orario lavorativo, ma secondo Benaglia «i tempi sono maturi. Anche grazie all’innovazione tecnologia, penso alla gestione dei macchinari da remoto via tablet, il comparto metalmeccanico può garantire una flessibilità nuova che richiede soluzioni nuove. Ripensare i tempi del lavoro anche per questa categoria sarebbe un passo importante nell’ottica del benessere lavorativo».

[di Gloria Ferrari]