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La procura di Torino vuole imporre gli arresti domiciliari ad un gruppo musicale

La procura di Torino ha chiesto l’applicazione di una misura di custodia cautelare per gli ex componenti della band P38-La Gang, indagati per accuse di apologia del terrorismo per le quali rischiano una condanna a oltre 8 anni di carcere. La richiesta era già stata presentata lo scorso novembre dai pubblici ministeri, ma il gip l’aveva respinta e i pm avevano così deciso di presentare ricorso. Si tratta probabilmente del primo caso, in Italia, di artisti che rischiano una pena detentiva per via del contenuto dei loro testi.

L’attività della band è stata relativamente breve: nati nel 2020, si esibivano con passamontagna in quella che gli artisti stessi definivano una “polemica contro l’industria musicale contemporanea”, dove “la scelta – certamente controversa – di un immaginario brigatista è servita a veicolare con più energia la nostra protesta contro l’industria odierna, avviluppata nell’auto-rappresentare una realtà violenta, misogina, mafiosa, cannibale e spregiudicata”. L’immaginario cui il gruppo faceva riferimento era infatti quello degli anni di piombo e delle Brigate Rosse, con un preciso intento provocatorio volto a creare “una forma di trap di estrema sinistra e comunista“, che fungesse da contronarrazione ai temi del genere trap italiano contemporaneo.

Nell’aprile 2022, a seguito di un concerto svoltosi il 25 aprile a Pescara, Bruno d’Alfonso, figlio di Giovanni d’Alfonso, brigadiere morto a seguito di uno scontro a fuoco con le Brigate Rosse nel 1975, presenta un esposto [1] contro la band alle forze dell’ordine, denuncia alla quale si aggiunge successivamente quella di Maria Fida Moro, figlia di Aldo Moro. «Spero che gli autori della minaccia vengano identificati e perseguiti ma credo che non debba essere permesso a nessuno, nemmeno in nome della libertà di espressione artistica, di inneggiare al terrorismo e di offendere la memoria di quanti di quel terrorismo sono stati vittime e dei loro familiari» ha dichiarato d’Alfonso. Dopo settimane di eventi cancellati e pesanti critiche dall’opinione pubblica, la band si scioglie a giugno. Ma la vicenda non finisce qui: la procura di Torino ha infatti avviato un’indagine per apologia di terrorismo (la quale risalirebbe [2] al dicembre 2021), nell’ambito della quale, il 25 novembre 2022, ciascuno dei membri della ex-band musicale subisce una perquisizione da parte di polizia e carabinieri. In quell’occasione i pm avevano chiesto l’applicazione di misure cautelari per i quattro indagati, richiesta respinta dal gip e contro la quale i pubblici ministeri hanno presentato ricorso.

Al di là dei gusti musicali personali e della riuscita o meno del progetto musicale dei P38, va sottolineato come si tratti della prima volta che in Italia una band musicale viene messa a processo per i testi delle proprie canzoni. Abbiamo infatti provato a fare delle ricerche, ma a quanto risulta mai prima d’ora era stato contestato a livello giudiziario il contenuto simbolico dell’espressione artistica musicale di un qualche gruppo la quale, per sua natura, è politicamente connotata. E nel panorama musicale italiano non mancano certo realtà le quali, soprattutto in passato, hanno strizzato l’occhio alla sovversione contro le istituzioni. Come sottolinea la band in un’intervista [3] rilasciata al quotidiano britannico The Guardian, inoltre, «Ciò che ha mobilitato i media e le forze dell’ordine è proprio la nostra musica, i nostri concerti, i nostri testi. Mentre la scena musicale italiana è invasa da riferimenti molto espliciti allo stupro, al traffico di stupefacenti su larga scala e ai crimini mafiosi». Emilio Gatti, procuratore aggiunto di Torino, ha d’altronde dichiarato che si tratti di un caso «estremamente raro». Ammettendo, di fatto, l’eccezionalità dell’episodio.

[di Valeria Casolaro]