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Il debunking è superato, Google vara la censura preventiva con il “prebunking”

L’Inquisizione digitale si appresta ad affilare le armi con una novità. Non bastavano, infatti, il debunking e il fact-checking, divenuti ormai un grimaldello per colpire opinioni non allineate. Ora è in arrivo il “prebunking”, che mira ad anticipare la disinformazione, prima che questa inizi a diffondersi. Per punire e dissuadere i ricercatori disallineati, si intende “prevenire” qualunque forma di reato di opinione prima che si manifesti. Il progetto si chiama Jigsaw [1]: si tratta di un incubatore aziendale, creato da Google Inc. e ora controllato da Alphabet, il cui presidente è Eric Schmidt [2], già amministratore delegato di Google dal 2001 al 2010, è promotore della “network age”, e si dice sicuro che «possiamo eliminare la censura in un decennio».

Jigsaw viene presentato come una “piattaforma sperimentale” che utilizza una nuova tecnologia di rilevamento per aiutare i “mastini digitali” e i giornalisti a identificare le fake news: «Man mano che le campagne di disinformazione diventano più sofisticate, noi costruiamo nuove tecnologie per rafforzare le nostre difese comuni», leggiamo sul sito. 

Non è chiaro, però, in che cosa consistano queste “nuove tecnologie” ma viene spiegato che sono stati fatti diversi esperimenti per “prevenire la disinformazione” e sono stati realizzati dei video che spiegavano come combattere eventuali campagne di disinformazione. Ed è proprio su questo secondo punto che sembra focalizzarsi l’attenzione di Google [3], che prevede di pubblicare una serie di brevi video che smascherino le tecniche comuni alla realizzazione di contenuti falsi. Questo approccio, chiamato appunto “prebunking”, va di pari passo con l’“alfabetizzazione mediatica” e intende insegnare alle persone come individuare le notizie false prima che queste diventino virali. La strategia sta guadagnando sostegno tra ricercatori e aziende tecnologiche. I video di prebunking sono relativamente economici e facili da produrre e possono essere visti da milioni di persone se inseriti su piattaforme popolari. 

Come osserva Massimo Mazzucco [4], però, è probabile che il progetto non si limiti alla produzione di video: l’obiettivo di fondo è quello di «tenere sotto controllo le “fonti pericolose”, grazie a un algoritmo, e bloccare immediatamente qualunque contenuto scomodo, prima ancora che compaia in rete». Da tempo le Big Tech sono corse ai ripari cercando di adottare misure trasversali per poter “contrastare la disinformazione on line”. Evidentemente, però, non sono bastati gli sforzi, nemmeno gli oltre centomila “digital first responder” reclutati nel novembre 2020 dalle Nazioni Unite per controllare Internet: un esercito di soldati digitali con il compito di setacciare le piattaforme dei social media e i forum, rintracciare e censurare le opinioni dei dissidenti. L’iniziativa era stata annunciata in un podcast [5] dalla direttrice delle Comunicazioni globali delle Nazioni Unite, Melissa Fleming, in cui si parlava apertamente di un «contrattacco dell’ONU» alla disinformazione.

A sostegno di queste proposte, troviamo un articolo [6] pubblicato lo scorso agosto sul sito del World Economic Forum, dal titolo The solution to online abuse? AI plus human intelligence [7] (tradotto: La soluzione agli abusi online? Intelligenza artificiale più intelligenza umana), in cui si propone l’adozione di nuovi metodi per monitorare e censurare dalle piattaforme social le «opinioni estreme», disinformazione e materiale pedopornografico. Per farlo si suggerisce di potenziare gli algoritmi in modo da raccogliere in maniera più efficace informazioni da «milioni di fonti» e bloccare sul nascere i contenuti “nocivi”, prima ancora che questi arrivino sui social. 

A conferma di ciò, il 20 settembre scorso, Melissa Fleming è tornata a vantarsi della militarizzazione del web, spiegando nel panel “Lotta alla disinformazione [8]” come le Nazioni Unite abbiano intrapreso una collaborazione con i giganti della tecnologia come Google e TikTok per orientare le narrazioni non solo sul Covid, ma anche sul cambiamento climatico. Quello che si vuole evitare è un dibattito su queste tematiche e sulle strade da intraprendere, in modo da silenziare in maniera preventiva le possibili critiche ed eterodirigere il consenso.

L’atteggiamento adottato è sempre il medesimo: paternalistico. Per salvaguardare la società da un pericolo (la disinformazione), si legittimano tecniche sempre più accurate e spietate volte al boicottaggio dell’informazione indipendente, arrivando a legittimare la censura. Ovviamente, “per il nostro bene”.

[di Enrica Perucchietti]