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Terremoto: l’Italia invia aiuti alla Siria nonostante le sanzioni europee

Dopo il devastante terremoto che ha colpito la scorsa settimana il sud della Turchia e il nordovest della Siria provocando più di 40.000 vittime, l’Italia è stata il primo Paese dell’Unione Europea a fornire aiuti materiali e assistenza medica alle aree del Paese colpite dal sisma, uno dei più violenti degli ultimi decenni, mille volte superiore per intensità a quello di Amatrice e che avrà ripercussioni anche sul piano della stabilità politica del Medioriente e sulle relazioni internazionali. Proprio in questo senso, gli aiuti inviati dall’Italia potrebbero rappresentare una prima possibilità di riapertura dei canali diplomatici e delle relazioni con Damasco – da sempre vicina a Roma – dopo l’interruzione dei rapporti con le cancellerie occidentali a seguito dello scoppio della sanguinosa guerra civile che affligge la Sira dal 2011 e che ha visto gli Stati Uniti e l’Ue appoggiare i ribelli siriani. L’Italia potrebbe, dunque, svolgere un ruolo importante nel ricucire i rapporti con il governo di Bashar al-Assad coinvolgendo su questo piano anche Bruxelles che, nonostante la terribile situazione socioeconomica del popolo siriano – aggravata dal recente terremoto – continua a mantenere sanzioni economiche che lo danneggiano gravemente accodandosi alle posizioni statunitensi.

In risposta alla richiesta siriana di attivazione del meccanismo europeo di protezione civile, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha predisposto [1] l’invio del materiale donato dal Gruppo San Donato per assistere la popolazione delle aree colpite dal terremoto: l’11 febbraio sono, dunque, partiti da Pisa due aerei militari C-130 – atterrati a Beirut – contenenti 30 tonnellate di materiale medico, incluse 4 ambulanze e un team di quattro medici. Il fatto che siano atterrati a Beirut e non a Damasco ha sia un significato logistico che politico: lo scalo di Aleppo risulta, infatti, parzialmente danneggiato, mentre quello di Damasco è più distante dalle aree colpite dalla calamità; sul piano politico, invece, ciò ha permesso di evitare contatti diretti tra Roma e Damasco, considerato che anche l’Italia ha aderito alle sanzioni imposte da USA e Ue al governo di Assad. Nonostante ciò, Roma si è mossa rispondendo ad una precisa e ufficiale richiesta delle autorità siriane. Il materiale è stato poi trasferito a Damasco in collaborazione con la SARC (la Mezzaluna rossa siriana, l’equivalente della Croce Rossa italiana) che lo distribuirà nelle aree più colpite, tra cui soprattutto Lattakia, Aleppo, Hama e Tartous. Alla Farnesina hanno precisato che «è necessario rispondere alla tragedia evitando di politicizzare gli aiuti».

Resta il fatto che l’Italia è stata la prima nazione europea a rispondere all’appello di Damasco e questo per almeno due ragioni. Una di natura tecnica: l’Italia appare, infatti, il Paese con più esperienza rispetto alle emergenze causate da disastri naturali. Sul piano politico, invece, c’è da considerare che prima della guerra siriana i rapporti tra i due Paesi erano buoni: basti pensare che a un anno dallo scoppio della guerra civile, nel 2010, l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si era recato in visita a Damasco conferendo ad Assad la nomina a Cavaliere di Gran Croce per i suoi “impegni per la pace”, salvo poi revocargliela [2] per “indegnità”, dopo aver aderito incondizionatamente alle posizioni statunitensi contro il legittimo governo siriano sostenendo i ribelli. L’attuale presidente del Consiglio, inoltre, non ha mai escluso – da leader di FdI – la necessità di riprendere i rapporti con Assad in funzione anti Isis e nel 2018 si è mostrata prudente nel fare proprie le accuse mosse al governo siriano sull’uso di armi chimiche: «La paura è che qualcuno cerchi un pretesto per scatenare una nuova guerra che farebbe casualmente molto comodo a chi è uscito recentemente sconfitto dallo scacchiere mediorientale. Fratelli d’Italia non è disposta ad assecondare operazioni spregiudicate di questo tipo», aveva scritto [3] sui social il 10 aprile 2018. Anche sul piano culturale sono sempre state molte le affinità tra i due Stati: al riguardo, negli ultimi mesi alcune missioni archeologiche italiane si sono unite ai colleghi siriani per il restauro di importanti siti culturali.

In questo contesto, l’Ue non ha ancora rimosso le dure sanzioni che affliggono la Siria da più di dieci anni e che si aggiungono alle già devastanti conseguenze della guerra e ora del terremoto: esse includono un embargo sulle importazioni di petrolio, restrizioni su alcuni investimenti, congelamento dei beni della banca centrale siriana detenuti nell’Ue e restrizioni al credito, ai finanziamenti, all’esportazione di attrezzature e tecnologie. Gli Stati Uniti, invece, hanno temporaneamente sospeso le sanzioni sulle transazioni finanziarie relative ai soccorsi per i prossimi 180 giorni attraverso la licenza generale n. 23 per la Siria [4], come dichiarato sul sito dell’Office of Foreign Assets Control del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. Detto ciò, le nazioni a livello internazionale che più si stanno muovendo in soccorso del martoriato Paese mediorientale sono Russia e Iran.

Per quanto riguarda le sanzioni, la sudditanza politica agli alleati d’oltreoceano dell’Italia non consente decisioni autonome in merito. Tuttavia, oltre alla recente decisione del governo di inviare aiuti per primo nonostante gli embarghi, iniziative di sostegno e solidarietà sono arrivate anche dalla Comunità cattolica di Sant’Egidio, che gode di ampio credito a livello internazionale per le sue iniziative umanitarie, specialmente nell’area africana e mediorientale. La comunità ha lanciato [5] un appello per sospendere le sanzioni e favorire così l’arrivo degli aiuti: «La Comunità di Sant’Egidio, attraverso le comunità cristiane in Siria, sta predisponendo l’invio di aiuti umanitari urgenti in particolare a Aleppo e Idlib. Chiediamo a tutti di sostenere questo impegno con un gesto di solidarietà», si legge sul sito. Già nel febbraio del 2021, l’allora arcivescovo cattolico greco-melchita di Aleppo monsignor Jean-Clément Jeanbart – ora ricoverato dopo essere stato estratto dalle macerie – in una lettera all’agenzia di stampa dei vescovi italiani aveva denunciato «le sanzioni e l’embargo che ci vengono inflitti e che colpiscono tutti gli abitanti, soffocando in particolare i meno fortunati che sono moltissimi. Sanzioni commerciali e finanziarie messe consapevolmente in atto per impedire la ricostruzione, la riabilitazione e la rinascita economica della Siria».

Il terremoto potrebbe, dunque, parzialmente ridefinire i rapporti con Damasco nella direzione quantomeno di un allentamento delle sanzioni e, in questo contesto, Roma – soprattutto alla luce dei rapporti anteriori al conflitto e delle posizioni pregresse di Giorgia Meloni – potrebbe svolgere una parte importante per un eventuale parziale ripresa dei rapporti diplomatici che implicherebbe anche nuovi equilibri in tutto il Medioriente, interrompendo il totale isolamento siriano.

[di Giorgia Audiello]