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Il petrolio russo sotto embargo arriva in Europa passando dall’India

Domenica scorsa è entrato in vigore l’embargo europeo sui prodotti petroliferi russi importati via mare, cui si è aggiunto un price cap che oscilla tra i 45 e i 100 euro al barile per le esportazioni – sempre marittime – dirette verso Paesi terzi. L’obiettivo delle sanzioni europee sul greggio russo è quello di privare il Cremlino delle sue entrate per sottrargli risorse da destinare alle operazioni belliche e, allo stesso tempo, mantenere il mercato europeo ben rifornito. Considerato però che con l’embargo si genera un indebolimento artificiale dell’offerta, appare difficile che – con la diminuzione delle scorte – non venga a crearsi nei prossimi mesi una carenza di diesel in Europa con il relativo aumento dei prezzi. Se, dunque, da una parte, l’embargo [1] costringerà Mosca ad appiattirsi sui mercati orientali, vendendo alle economie asiatiche il greggio a prezzi ridotti, dall’altro, ciò espone l’Europa al rischio di un aumento dei prezzi a causa del possibile calo dell’offerta in presenza, invece, di una domanda costante. Mosca ha velocemente rimpiazzato gli acquirenti occidentali con i mercati asiatici – specialmente quello indiano e cinese – che lo rivendono agli occidentali a prezzi maggiorati dando il via a triangolazioni vantaggiose per gli esportatori ma sicuramente sconvenienti per gli importatori europei che lo acquisterebbero a meno comprandolo direttamente da Mosca. Tuttavia, questo meccanismo permette di rispettare le sanzioni senza rimanere completamente a corto di carburanti. Al momento non si può ancora dire se le sanzioni occidentali sul petrolio russo raggiungeranno effettivamente gli obiettivi per cui sono state varate, ma certamente esse stanno mettendo al centro le potenze emergenti come l’India conferendo loro un ruolo strategico nel panorama internazionale.

L’India acquista petrolio russo a prezzi decisamente vantaggiosi: nel mese di gennaio il greggio russo è stato esportato a 49,48 dollari al barile contro gli 80 dollari al barile del petrolio brent. Una volta raffinato, Nuova Dehli lo spedisce ai mercati occidentali: sempre il mese scorso ha spedito circa 89.000 barili al giorno di benzina e diesel a New York – il massimo in quasi quattro anni – secondo la società di dati Kpler, mentre i flussi giornalieri di diesel a basso tenore di zolfo verso l’Europa sono stati di 172.000 barili a gennaio, il massimo dall’ottobre 2021. Inoltre, il greggio russo sta trovando anche altre destinazioni come, ad esempio, il Brasile. Questo aiuta Mosca a mantenere le sue entrate e, allo stesso tempo, avvantaggia le economie asiatiche che sono diventate le principali acquirenti di idrocarburi russi da quando Mosca ha dato avvio alle operazioni militari in Ucraina e a cui sono costretti a rivolgersi i consumatori occidentali. «L’India è un esportatore netto di prodotti raffinati e gran parte di questo andrà in Occidente per aiutare ad allentare l’attuale tensione», ha affermato Warren Patterson, responsabile della strategia delle materie prime con sede a Singapore presso ING Groep NV. «È abbastanza chiaro che una quota crescente della materia prima utilizzata per questo prodotto proviene dalla Russia».

Nonostante il meccanismo della triangolazione [2] – che dovrebbe servire proprio a mantenere normale il livello di greggio sui mercati – non è da escludersi un potenziale indebolimento dell’offerta, considerato che non tutto il petrolio russo prima destinato all’Occidente può trovare nuove destinazioni: in tal caso, in presenza di una domanda costante da parte dei consumatori europei e americani, si avrebbe un aumento dei prezzi e un aggravarsi ulteriore dell’inflazione. Uno studio di Bankitalia ha mostrato, infatti, che durante i primi nove mesi del 2022 oltre il 60% dell’inflazione nell’eurozona derivava dall’aumento dei costi energetici: «L’eccezionale shock energetico ha contribuito al rialzo dell’inflazione complessiva in modo rilevante, nonostante una contenuta elasticità della componente di fondo ai prezzi energetici. Nella media dei primi nove mesi del 2022 l’aumento dei prezzi dell’energia spiega direttamente o indirettamente circa il 60 per cento dell’inflazione nell’area dell’euro. Queste evidenze sono qualitativamente simili tra i maggiori paesi dell’area, seppure con alcune eterogeneità quantitative», si legge [3] nel rapporto. Una prova in più del fatto che per abbassare l’inflazione si deve agire sui costi dell’energia più che sui tassi d’interesse, il cui rialzo finora non ha sortito l’effetto di contenere il carovita.

Se sul piano economico l’aumento dei prezzi potrebbe essere una conseguenza importante dell’embargo, su quello geopolitico, l’iniziativa del Paesi del G7 non farà che acuire il divario tra Occidente e il resto del mondo che non ha aderito alle sanzioni del blocco atlantico: i Paesi del gruppo BRICS, infatti, stanno rinsaldando i loro legami e avviando scambi bilaterali con le rispettive valute locali proprio sui prodotti petroliferi, accelerando il processo di de-dollarizzazione [4] che va di pari passo con quello di de-globalizzazione, chiamato anche decoupling. Le triangolazioni, inoltre, contribuiscono alla crescita dell’importanza economica e geopolitica di potenze come l’India la cui economia sta rapidamente crescendo, tanto da essersi collocata al quinto posto nella classifica delle economie mondiali, superando la Gran Bretagna. Un rapido mutamento di assetti internazionali accelerato proprio dalle sanzioni in cui, se per la Cina è ancora troppo presto per tagliare i rapporti economici con l’Occidente, per la Casa Bianca è necessario agire in direzione protezionistica, puntando su una globalizzazione regionale – il cosiddetto frien-shoring auspicato dal segretario al Tesoro Janet Yellen – e su iniziative quali l’Inflaction Reduction Act che mira a difendere il mercato americano a scapito soprattutto di quello europeo [5]. Allo stesso tempo, è ancora troppo presto per dire se l’embargo al petrolio russo raggiungerà i risultati per i quali è stato messo in atto, vale a dire privare Mosca delle risorse per finanziare la guerra. Quel che è certo è che, a dispetto di quanto sostenuto dalle istituzioni e dai media occidentali, le altre sanzioni comminate a Mosca dall’inizio del conflitto non sono riuscite a farla crollare né a far cessare la guerra.

[di Giorgia Audiello]