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La Russia intensifica la guerra contro la libertà di parola e la crittografia

Roskomsvoboda, gruppo che si definisce la “prima organizzazione russa attiva nel proteggere i diritti digitali” ha denunciato che il 19 gennaio 2023 un’”Agenzia statale sconosciuta” del Cremlino ha deciso di abbattere la sua scure normativa su Skiff, un portale che offre servizi di mailing e cloud. La sua colpa? Offrire strumenti con cui criptare i contenuti e i messaggi trasferiti dagli utenti, una pratica che complica non poco le strategie di sorveglianza promosse dalle varie autorità poliziesche.

L’informazione [1] è stata autenticata dall’azienda, non dal Governo, il quale non si è ancora espresso pubblicamente in merito e che difficilmente lo farà. Il portale è nato a malapena un anno fa e la sospensione della sua operabilità in terra russa, almeno stando all’interpretazione degli attivisti, sarebbe stata ordinata in via anonima dall’Ufficio del Procuratore Generale, ovvero la branca istituzionale che tradizionalmente si occupa di emanare i blocchi internettiani. Dal 2020 a seguire, è provata da parte di Mosca una fitta storia di interventi amministrativi al limite della censura, quindi gli analisti possono tranquillamente attingere a un archivio di riferimento che staglia con una certa precisione il modus operandi dell’Amministrazione Putin.

Il 31 gennaio 2020 aveva fatto clamore la censura di Proton Mail [2], quindi il febbraio successivo era stato il turno di Tutanota [3], ambo realtà specializzate nella crittografia end-to-end. Il programma di messaggistica Telegram si è salvato dal patibolo, ma più per una questione di limiti tecnici [4]che per un’apertura ideologica da parte delle autorità. Nel 2021 è toccato a Anonymousemail e Dropmail, ambo accusate di aver contribuito alla diffusioni di minacce di matrice terrorista, quindi persino Google Docs [5] è caduto a fasi alterne nella maglia dell’oscurantismo governativo. Tra social, siti giornalisti e portali vari, l’Ufficio del Procuratore Generale è intervenuto negli anni in migliaia di occasioni e lo ha fatto appoggiandosi a pretesti di ogni genere. Non sempre a essere colpiti sono infatti portali che permettono la condivisione segreta di file, altre volte si tratta di elementi apparentemente più minuscoli e ideologici; un esempio su tutti sono i Monologhi Vaginali [6] di Yulia Tsvetkova, i quali contraddirebbero “gli scopi e gli obiettivi dell’attuale legislazione”, minerebbero “la moralità dei minori” e creerebbero “una minaccia di danno alla loro salute e sviluppo” attraverso la pubblicazione di fumetti femministi. 

A differenza della Cina, la Russia non è dotata di un’infrastruttura utile a intavolare un controllo totale dei flussi di dati internettiani, quindi al Cremlino non resta che procedere con interventi più mirati, quasi artigianali. Nel frattempo Mosca stimola attraverso molteplici strategie lo sviluppo di un’industria informatica locale [7] che sia docile nei confronti delle istituzioni e che possa un domani garantire una sovranità digitale che ha il sapore del controllo autocratico. Il tutto si muove dunque sotto la prospettiva della costruzione di un intranet [8] che possa un giorno essere separato a tenuta stagna dal world wide web globalizzato. Complice la complicata situazione geopolitica, aziende e cittadini occidentali non sono oggi dotati dei mezzi per imporre diplomaticamente che il Cremlino faccia un passo indietro sulla sua campagna di controllo delle informazioni, tuttavia c’è non di meno molto da imparare dall’esempio del vicino russo.

Il confine tra sicurezza e sorveglianza è estremamente labile e uno slittamento progressivo degli equilibri democratici può trasformarsi molto velocemente nell’imposizione di una ferrea censura di Stato. Non serve guardarsi troppo lontano per rendersi conto che, facendo leva sui pretesti della lotta al terrorismo e alla pedopornografia, i cosiddetti Paesi democratici sono lieti di introdurre esenzioni al rispetto dei diritti che permettano alle agenzie di esercitare un maggiore dominio sul discorso pubblico. Fortunatamente, negli Stati Uniti come in Europa esistono ancora dei limiti che siamo disposti a difendere attraverso manifestazioni di sdegno pubblico, le quali vengono poi raccontate sulla stampa e dai social senza che un intervento amministrativo possa tacitare del tutto il discorso. Questo spirito combattivo viene messo però costantemente alla prova, smorzato da promesse melliflue o da repressioni violente. In tempo di guerra non possiamo convincere la Russia a riaprirsi alla pluralità di parola, ma possiamo comunque rimanere in guardia perché il clima belligerante non finisca con il sedare il dissenso che fa parte di un sistema di governo, quello democratico, la cui stessa natura si basa sul dare voce a tutti i cittadini, minoranze e opposizioni comprese.

[di Walter Ferri]