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Ucraina, un’arma tira l’altra: ora Kiev vuole caccia e missili a lungo raggio

Dopo l’invio del lanciarazzi multiplo HIMARS, prima, e la decisione di inviare i carrarmati tedeschi e americani, dopo, ora è arrivato il turno dei missili a lungo raggio che l’amministrazione americana ha deciso di inserire nel nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina e che verrà probabilmente annunciato già questa settimana. Si assiste, dunque, ad un crescendo di richieste e di invio di materiale bellico a Kiev in cui alla pretesa di un’arma fa subito seguito quella successiva che prevede armamenti sempre più sofisticati e letali. Si apprende, infatti, che il presidente ucraino Zelensky ha già fatto richiesta dei missili ATACMS con una gittata di 297 chilometri, richiesta respinta però – per ora – da Washington in quanto potrebbe colpire direttamente il territorio russo. Il nuovo pacchetto di aiuti, che prevede l’impiego di più di due miliardi di dollari, oltre ai missili, comprende anche attrezzature di supporto per i sistemi di difesa aerea Patriot, munizioni guidate di precisione e armi anticarro Javelin, come riferito [1] da due funzionari statunitensi ad alcune agenzie di stampa. È escluso, invece, per ora l’invio dei caccia F16, gli aerei da combattimento dell’aeronautica statunitense richiesti da Kiev.

Uno dei funzionari ha fatto sapere che una parte del pacchetto, pari a 1,725 miliardi di dollari, proverrà da un fondo noto come Ukraine Security Assistance Initiative (USAI), che consente all’amministrazione del presidente Joe Biden di ottenere armi dall’industria piuttosto che dalle scorte di armi dell’esercito americano. I fondi dell’USAI saranno inoltre utilizzati per l’acquisto di una nuova arma, la Ground Launched Small Diameter Bomb (GLSDB), prodotta dall’azienda aerospaziale Boeing Co, che ha una portata di 94 miglia (150 km). L’arma è guidata dal GPS, può sconfiggere alcuni disturbi elettronici, è utilizzabile in tutte le condizioni atmosferiche e può essere utilizzata contro veicoli blindati. Inoltre, permetterebbe all’esercito ucraino di colpire obiettivi prima fuori portata. Gli stessi fondi verrebbero utilizzati anche per pagare più componenti delle difese aeree HAWK, sistemi di controdroni, controartiglieria e radar di sorveglianza aerea, apparecchiature di comunicazione, droni PUMA e pezzi di ricambio per sistemi importanti come Patriot e Bradley, si apprende sempre da uno dei due funzionari.

Considerato che la Casa Bianca chiederà direttamente all’industria bellica di produrre nuove armi per la causa ucraina, le aziende d’armi americane incrementeranno ulteriormente il loro fatturato, già in aumento nel 2022: secondo i dati diffusi dal dipartimento di Stato americano [2], infatti, il valore delle esportazioni di armi statunitensi, autorizzate da Washington, nel 2022 ha raggiunto i 52 miliardi di dollari, in crescita del 49% rispetto ai 35 miliardi del 2021. Ad aver contribuito a tale aumento, è stata soprattutto la Germania che ha comprato prodotti americani per 8,4 miliardi di dollari, seguita dalla Polonia (6 mld) con il maxiordine di 250 carri armati Abrams. Ordini di missili e razzi da mezzo miliardo di dollari sono arrivati anche dalla Lituania, dall’Olanda (1,2 miliardi), dalla Norvegia (950 milioni), dall’Estonia (500 milioni) e dal Belgio (380 milioni). L’Europa è finita così per dipendere totalmente dall’industria americana sul piano militare incrementando ulteriormente la sua sudditanza a Washington.

Allo stesso tempo, non si placa la pressione di Zelensky per l’invio di armi più letali: pochi giorni fa, nel consueto messaggio serale alla nazione, il presidente ucraino ha fatto richiesta di caccia e Atacms «con i quali si metterebbe sotto pressione l’artiglieria russa posta lontano dal fronte, e che finora ha potuto colpire indisturbata le città», ha affermato. L’amministrazione ucraina sta anche chiedendo insistentemente l’invio di F16: richieste che comportano necessariamente una reazione da parte russa che ha già avvisato sul possibile utilizzo di armi più sofisticate e moderne come i missili balistici intercontinentali Sarmat – considerati il fiore all’occhiello dei nuovi programmi militari russi – e i nuovi missili ipersonici Zircon, di cui a gennaio è stata dotata la flotta di Mosca. Una situazione, dunque, che genera una corsa agli armamenti che difficilmente potrà porre fine alla guerra – come molti commentatori e politici sostengono in Occidente – ma che porterà piuttosto al suo prolungamento e all’inasprirsi dei combattimenti, potenzialmente sempre più cruenti. In Europa, gli unici Paesi che si sono opposti all’invio di armi sono Austria e Ungheria, in quanto consapevoli della pericolosità della situazione. Il resto delle nazioni europee, in contrasto con i propri valori fondativi, continua a sostenere paradossalmente – e forse ipocritamente – che l’invio di armi serva per accorciare la guerra e ottenere la “pace”.

[di Giorgia Audiello]