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Meloni in Libia: i dettagli dell’accordo su gas e migranti

Emergono i dettagli degli accordi stretti tra il governo italiano e quello libico in occasione del viaggio a Tripoli intrapreso dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, accompagnata dal ministro degli Esteri Tajani e da quello degli Interni Piantedosi. Nell’incontro con gli omologhi del governo libico riconosciuto dall’Italia, guidato dal presidente del Consiglio Mohammed Yunis Ahmed Al-Menfi, si sono accordati su due diversi fronti: il potenziamento delle forniture di gas – la Libia è al quinto posto tra i paesi africani con le maggiori riserve di gas – e la gestione del flusso di migranti che partono alla volta dell’Italia, che entrambe le parti hanno promesso di controllare collaborando. Un patto, quest’ultimo, che dinanzi alla notizia dell’approvvigionamento energetico ha perso la risonanza che avrebbe invece dovuto avere.

Ma andiamo con ordine. Dell’accordo sul gas [5], raggiunto e firmato da Claudio Descalzi, Amministratore Delegato dell’ENI e da Farhat Bengdara, presidente della compagnia petrolifera di Stato ‘National oil corporation’ (NOC) si è parlato molto principalmente per un motivo: gli 8 miliardi di dollari – una cifra altissima – di investimenti previsti. Un contratto siglato dalle parole della Premier italiana, per cui «la Libia è una priorità per l’Italia. Per la stabilità del Mediterraneo. Per la sicurezza. Per alcune delle grandi sfide che l’Europa affronta in questo tempo, come la crisi energetica».

I due colossi collaboreranno allo sviluppo delle Strutture A&E, un progetto volto ad aumentare la produzione di gas per rifornire sia il mercato interno libico che quello europeo grazia all’esplorazione di nuovi giacimenti situati di fronte alla costa occidentale del Paese. È il primo grande progetto ad essere sviluppato nel paese dall’inizio del 2000. Consiste in due giacimenti a gas al largo della Libia. Secondo i piani la produzione dovrebbe iniziare nel 2026 per raggiungere un plateau di 750 milioni di piedi cubi di gas standard al giorno” ha scritto ENI – che è già il principale produttore internazionale di gas in Libia, con una quota dell’80% della produzione nazionale – nel suo comunicato ufficiale [5]. Un investimento che secondo Descalzi dovrebbe permettere di effettuare importanti investimenti nel settore dell’energia in Libia, contribuendo allo sviluppo e alla creazione di lavoro nel Paese.

In realtà la presenza della multinazionale italiana in Libia non è nuova, anzi. Questa opera nel Paese dal 1959, e attualmente dispone di un ampio portafoglio di asset in esplorazione, produzione e sviluppo. Solo nel 2022 la società ha prodotto sul territorio libico 9,3 miliardi di metri cubi di gas: di questi sono toccati all’Italia “solo” 2,5 miliardi – un’esportazione limitata perché in Libia è aumentata la domanda interna -, arrivati sul nostro territorio percorrendo i 520 km – da Mellitah a Gela – del gasdotto Greenstream, mentre i restanti 6,8 sono rimasti “a casa”, destinati alla generazione di elettricità.

Le stime dicono che i due nuovi giacimenti dovrebbero essere in grado di fornire 8,7 miliardi di metri cubi di gas all’anno, per i prossimi 25 anni. Una quantità sufficiente a soddisfare la domanda interna e quella esterna, europea. A patto che, come ha detto Meloni, il Paese nordafricano trovi prima una propria stabilità interna, minacciata dal continuo rinvio delle elezioni (e dalla presenza di un doppio Governo). Una raccomandazione piuttosto debole visto che ENI, nonostante tutto, non ha mai smesso neppure per un momento di investire in Libia.

Comunque a Tripoli non si è parlato solo di energia. Al centro del dibattito è finita anche la «cooperazione con l’autorità libica in relazione alla Guardia costiera», che prevede tra le altre cose, di fornire alle autorità libiche cinque nuove motovedette. «Abbiamo parlato di come potenziare gli strumenti per combattere i flussi illegali. È un tema che non riguarda solo Italia e Libia, deve riguardare l’Unione europea nel suo complesso», dice Meloni. È un obiettivo che la Premier si è posta praticamente fin da subito. Il suo pensiero si basa sull’idea che migliorare le condizioni economiche dei Paesi nordafricani – investendo nelle loro risorse energetiche, per esempio –  significa contrastare l’immigrazione illegale. Se la popolazione vive meglio, avrà meno motivi per andarsene.

«L’Italia vuole giocare un ruolo importante, anche nella capacità di aiutare i Paesi africani a crescere e a diventare più ricchi. Il modo più strutturale per affrontare il tema delle migrazioni è consentire alle persone di crescere e prosperare nelle loro nazioni». In realtà sui richiedenti asilo un accordo tra Italia e Libia esiste da tempo: si chiama Memorandum [6] e prevede dal 2017 che il nostro Paese fornisca alla Libia supporto finanziario e tecnico per contrastare la migrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Milioni di euro  – molti dei quali spesi direttamente in Libia – che negli anni sono serviti principalmente a destabilizzare ulteriormente la situazione. Molti trafficanti, infatti, hanno convertito il business della tratta di esseri umani in industria della detenzione, tenendo in ostaggio migliaia di persone. La Libia è un paese in cui violenza e brutalità rappresentano la quotidianità per migliaia di migranti e rifugiati. Solo nel 2021 la Guardia Costiera libica ha riportato in Libia più di 13.000 persone, esponendole spesso ad abusi, estorsioni e nel peggiore dei casi alla morte. Si tratta insomma di un nuovo capitolo nel lungo rapporto di scambio tra gas e soldi sulla pelle dei migranti [7] che si intrattiene tra Italia e Libia a prescindere dal colore politico dei governi.

[di Gloria Ferrari]