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La creatività delle intelligenze artificiali finisce in tribunale

Nel rendere facilmente accessibile il proprio generatore di immagini, l’azienda OpenAI ha portato avanti una strategia di marketing dal potere dirompente che ha palesato al grande pubblico e ai finanziatori le smisurate potenzialità delle tecnologie di machine learning. La grande diffusione di simili strumenti ha però catalizzato anche l’attenzione di coloro che percepiscono di aver subito un torto, economico e non, da parte delle aziende specializzate nel campo delle intelligenze artificiali, le quali devono sempre più difendere le proprie strategie nelle aule dei tribunali. Il 13 gennaio 2023, i giudici californiani hanno visto l’inizio di una class action [1] che vede tre illustratrici sfidare molteplici aziende tech al fine di preservare la tutela del valore creativo. Dal lato dell’accusa si muovono Kelly McKernan, Karla Ortiz e Sarah Andersen – autrice del celebre “Sarah Scribbles” –, mentre a rispondere delle proprie strategie sono Stable AI, Midjourney e DeviantArt, tre dei marchi più celebri del settore. Le autrici lamentano due problematiche principali: che le IA siano in grado di generare contenuti mimando abusivamente lo stile personale degli artisti e che gli archivi di riferimento siano stati raffinati utilizzando stratagemmi che violano i diritti d’autore.

Difficilmente un tribunale riconoscerà mai che una tecnica artistica possa essere tutelata da copyright, tuttavia è innegabile che le aziende citate abbiano addestrato le rispettive intelligenze artificiali raschiando informazioni dalla rete senza curarsi troppo dei dettagli legali, etici e commerciali. Più dati si traducono automaticamente in una maggiore tasso di sviluppo, quindi il sondare adeguatamente le immagini fagocitate dalla macchina viene spesso inteso più come un ostacolo che come una risorsa. Il risultato è che non sia raro per un generatore partorire delle opere ipoteticamente originali che copiano persino la filigrana [2]usata per tutelare gli scatti conservati sui portali a pagamento. 

Non sorprende dunque che quattro giorni dopo, il 17 gennaio, GettyImage ha annunciato [3]di aver avviato presso la Corte Suprema londinese alcuni procedimenti legali contro Stability AI, rea di aver attinto alle risorse del sito senza versare alcun riconoscimento monetario. Sebbene sia naturale ipotizzare che la sottrazione delle immagini alle imprese che fanno dei contenuti visivi il proprio core business sia un’azione perseguibile, il contesto legale del caso specifico fa riferimento a un mondo digitalizzato che è ancora inesplorato ed estremamente torbido. In passato aveva in tal senso fatto clamore Perfect 10 v. Amazon [4], un caso in cui la Corte d’appello statunitense ha riconosciuto ad Amazon e Google il diritto di adoperare gratuitamente le immagini protette da copyright nel caso siano usate come anteprime ai contenuti delle reciproche pagine. Stando all’opinione dei giudici, le due Big Tech avrebbero trasformato i contenuti quanto basta a sviluppare un’immagine che sia considerabile inedita, un precedente normativo che potrebbe essere dunque impugnato nel contesto delle IA.

Mentre i consulenti legali si scindono e si assiepano sui due frangenti opposti della battaglia per le tutele al diritto d’autore, l’ordine degli avvocati sembra invece estremamente unito nel denunciare con furore le mosse di DoNotPay, azienda che aveva deciso di promuovere la visibilità del suo “avvocato robot” affidandogli la contestazione di una multa per eccesso di velocità. Lo stratagemma si sarebbe innegabilmente dimostrato interessante, ma negli Stati Uniti un simile approccio sarebbe stato considerato al pari di una pratica avvocatizia non autorizzata, quindi il dirigente della startup, Joshua Browder, finito al centro di una bufera, ha alfine optato per rinunciare al progetto [5], il quale gli avrebbe probabilmente garantito una visibilità poco desiderabile, se non qualche anno di prigione.

[di Walter Ferri]