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L’invio dei carri armati a Kiev, tra propaganda di guerra e reale rischio escalation

Dopo un lungo periodo di incertezza, le pressioni degli Stati Uniti e degli alleati più ostili alla Russia, tra cui soprattutto Polonia, Gran Bretagna e Paesi Baltici, hanno indotto il cancelliere tedesco Olaf Scholz a cedere sulla questione dei carrarmati a Kiev: la Germania, infatti, invierà all’Ucraina 14 carrarmati Leopard 2 A6 provenienti dalle scorte della Bundeswehr, le forze armate tedesche. Oltre alla Germania, altri 12 Paesi forniranno veicoli corazzati a Kiev, tra cui i Paesi dell’est Europa che hanno esercitato grande pressione su Berlino affinché desse l’autorizzazione a Paesi terzi per cedere i tank di fabbricazione tedesca. Nello specifico, oltre a Berlino, anche Polonia, Norvegia e Paesi Bassi invieranno rispettivamente 14, 2 e 18 carrarmati Leopard, mentre Spagna, Slovacchia, Danimarca, Francia e Finlandia potrebbero inviarli a breve, anche se non tutti i governi hanno già preso una decisione in merito. La Gran Bretagna, invece, fornirà a Kiev 14 dei suoi carri armati Challenger 2. Da parte sua, anche gli Stati Uniti – inizialmente contrari – hanno deciso di cedere all’Ucraina 31 carri armati Abrams M1 che verranno prodotti ex novo dalla General Dynamics Land Systems. Il che significa che ci vorranno mesi affinché i mezzi corazzati arrivino effettivamente a destinazione, cosa che vale anche per i tank forniti dagli Stati europei per motivi logistici e di addestramento.

La decisione di Washington di fornire gli Abrams a Kiev [1] arriva in seguito alla frenata della Germania che, secondo fonti interne al governo tedesco, avrebbe posto come condizione per fornire all’Ucraina i Leopard [2] quella che venissero inviati anche i carri armati statunitensi. Non a caso, le decisioni di Berlino e Washington sono giunte quasi in concomitanza. Il presidente americano Joe Biden ha ringraziato Scholz e tutti gli alleati per l’impegno contro Mosca, spiegando che il sostegno occidentale a Kiev «non è per attaccare» ma per difendere. «Non permetteremo che una nazione strappi un territorio a un’altra», ha asserito, assicurando altresì che l’invio degli Abrams «non rappresenta una minaccia per la Russia, non è un’offensiva contro la Russia, aiutiamo l’Ucraina a difendersi, deve combattere equipaggiata al meglio». Il presidente americano ha ringraziato anche il governo italiano per il fatto che «sta inviando artiglieria in Ucraina», fornendo così indirettamente informazioni su quale tipologia di armamenti il nostro Paese fornisce a Kiev, considerato che queste informazioni sono secretate e tenute nascoste ai cittadini italiani che – paradossalmente – le possono conoscere solo tramite le dichiarazioni del presidente americano.

La volontà degli alleati occidentali di continuare ad equipaggiare Kiev con mezzi pesanti non ha solo rinvigorito gli animi dell’amministrazione ucraina, ma ha anche spinto quest’ultima a pretendere sempre di più: Zelensky, infatti, ha chiesto la fornitura di missili e aerei a lungo raggio alla Nato, insieme all’espansione della cooperazione nell’artiglieria. Lo ha dichiarato pubblicamente nel suo videomessaggio serale alla nazione: «Ho parlato oggi con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg», ha asserito, aggiungendo che «dobbiamo aprire alla fornitura di missili a lungo raggio all’Ucraina, è importante. Dobbiamo anche espandere la nostra cooperazione nell’artiglieria» e pensare alla «fornitura di aerei per l’Ucraina».

Secondo Stoltenberg, i carrarmati degli alleati possono fare la differenza nel conflitto, aiutando Kiev a riconquistare i territori perduti: «gli alleati della Nato sono uniti nel sostegno all’autodifesa dell’Ucraina. Insieme ai Challenger del Regno Unito e ai Leopard 2 della Germania, questo può fare una differenza significativa nel respingimento della Russia», ha scritto [3] in un tweet. Tuttavia, molti esperti del settore militare sostengono che difficilmente l’invio di mezzi corazzati, artiglieria e altri sistemi di difesa come i Patriot possa effettivamente ribaltare gli esiti dello scontro in corso per almeno tre ordini di ragioni: quello tempistico – la consegna effettiva dei tank richiederà mesi – quello che riguarda l’addestramento – l’esercito di Kiev non ha attualmente le capacità per utilizzare questo tipo di mezzi – e quello che riguarda la manutenzione. Secondo [4] il sito specializzato Analisi Difesa, sul piano militare «l’invio di tank europei in Ucraina potrebbe risultare irrilevante o quasi per i numeri limitati, i tempi necessari a renderli operativi e i limiti di addestramento e logistica delle forze di Kiev». Inoltre, sarà necessario addestrare, oltre ai militari, anche il personale logistico, tenendo conto che ricambi, proiettili da 120mm e apparati del carro non sono compatibili con quelli utilizzati finora dall’esercito ucraino, di tipo russo/sovietico. Gli ucraini si troverebbero, dunque, con tre diversi tipi di tank occidentali (Leopard 2, Abrams e Challenger 2) di difficile gestione logistica e operativa. Per un loro utilizzo efficace sul campo, dunque, si renderebbe necessario impiegare appaltatori occidentali come equipaggi e per la manutenzione. Cosa che nel silenzio generale accade fin dall’inizio del conflitto, ma che esporrebbe ancora di più Europa e Stati Uniti in un coinvolgimento diretto nella guerra.

Oltre alla questione dell’efficacia sul piano militare, poi, vi è anche quella geostrategica: la consegna di carrarmati tedeschi a Kiev su pressione di Washington non conferma solo la già nota sudditanza del Vecchio continente agli alleati d’oltreoceano, ma implica anche un suo ulteriore indebolimento sul piano della difesa: escludendo la Polonia che dispone di circa 500 carri armati, i maggiori eserciti europei dispongono di un basso numero di tank che va dai 150 degli Ariete italiani ai 330 Leopard 2 tedeschi, non tutti operativi. La cessione di mezzi corazzati andrebbe quindi ad intaccare le scorte, come in parte confermato dal ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius: «certo questo è un intervento nelle scorte delle truppe, ma non influisce sulla prontezza operativa della Bundeswehr», ha affermato. Il potenziale indebolimento delle loro forze armate contribuirebbe a rendere le nazioni europee sempre più dipendenti da Washington anche sul piano militare, rendendo necessario l’acquisto di equipaggiamenti statunitensi nuovi o di seconda mano con investimenti ingenti per riammodernare il sistema di difesa: un processo che potrebbe richiedere anni.

Se da un lato, dunque, la decisione di inviare mezzi corazzati a Kiev logora ulteriormente i rapporti tra Europa e Russia, dall’altro decreta l’ormai irrimediabile sudditanza di Bruxelles a Washington, accelerando di giorno in giorno le possibilità di allargamento del conflitto con conseguenze catastrofiche. Dopo l’invio di armi sempre più pesanti, insieme alla presenza – non dichiarata – di personale NATO sul campo, non resta, infatti, che un coinvolgimento diretto nel conflitto. Tanto che il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore, ha dichiarato [5] alla stampa che «Ci stiamo rassegnando all’entrata in una guerra che con noi non c’entra niente, per questioni di carattere territoriale fra due paesi europei estranei sia alla Nato che all’Unione europea. Poi però ci siamo voluti invischiare, abbiamo voluto puntare tutto sulla prosecuzione di questa guerra e temo che se non ci sarà qualche illuminazione nei confronti di chi dirige questa operazione spaventosa, ci troveremo con le mani legate».

[di Giorgia Audiello]