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La vicenda dei documenti segreti trovati a Joe Biden

Sta suscitando imbarazzo all’interno della Casa Bianca il ritrovamento di alcuni documenti segreti rinvenuti in due ex uffici del presidente americano Joe Biden: la portavoce dell’amministrazione presidenziale Karine Jean-Pierre, infatti, ha evitato di rispondere alle domande dei giornalisti sulla vicenda durante il briefing quotidiano con la stampa. Il primo blocco di documenti è stato scoperto il 2 novembre scorso dagli avvocati del presidente mentre stavano sgombrando un ufficio utilizzato da Biden quando era professore onorario dell’Università della Pennsylvania e contiene file risalenti al 2013 e al 2016, il periodo in cui Biden era vice di Obama. I file, secondo quanto riferito dalla CNN, conterrebbero informazioni riguardanti l’Iran, il Regno Unito e l’Ucraina. Il secondo blocco, invece, è stato trovato pochi giorni dopo la scoperta del primo e per ora non sono stati forniti ulteriori dettagli sui contenuti dei file. A divulgare per prima l’informazione è stata la NBC News. La notizia circa il ritrovamento del primo lotto di documenti segreti è stata data dopo le elezioni di metà mandato, proprio per evitare imbarazzi alla Casa Bianca e per evitare di influenzare negativamente l’opinione pubblica. Una mossa politicamente e mediaticamente strategica che appare però priva di trasparenza, specie se si considera che Biden e il Partito democratico per mesi hanno accusato Trump del possesso illegittimo di documenti classificati presso la sua residenza di Mar-a-Lago: ora è Biden a trovarsi in una situazione simile e ad avere l’obbligo di chiarire, dopo aver definito il comportamento dell’ex presidente «totalmente irresponsabile».

Per legge, infatti, alla fine di ogni mandato presidenziale i documenti governativi devono essere consegnati ai National Archives, gli archivi presidenziali. Nonostante alcuni media si stiano sforzando di fare emergere le differenze col caso Trump – in quanto i legali di Biden hanno consegnato il materiale governativo agli Archivi subito dopo il loro ritrovamento e ci sarebbe dunque piena collaborazione tra Casa Bianca, dipartimento di Giustizia e Archivi – resta comunque il fatto che questi si trovassero fuori posto, non essendo stati consegnati nei modi e nei tempi previsti, ma non solo. Anche la tempistica di quanto avvenuto desta perplessità, in particolare se paragonata con quanto successo in Florida nella residenza dell’ex presidente: mentre, infatti, la notizia del ritrovamento di documenti segreti relativi all’amministrazione Obama e a Biden non è stata divulgata [1] fino a dopo le elezioni di metà mandato, la perquisizione dell’FBI nella residenza di Trump (la prima nella storia americana subita da un ex presidente) è avvenuta proprio durante la campagna elettorale in vista del voto di novembre. Non a caso, il tycoon ha chiesto con vena polemica all’FBI di perquisire tutte le residenze di Biden: «Quando è che l’FBI andrà a perquisire le molte case di Joe Biden, e forse persino la Casa Bianca? Questi documenti non erano certamente non classificati», ha scritto Trump sul suo social Truth.

Intanto, i repubblicani hanno chiesto di aprire un’inchiesta pubblica e la nomina di un procuratore generale anche per Biden come è stato fatto per Trump. La commissione Giustizia della Camera, guidata dal “trumpiano” Jim Jordan, ha chiesto, dunque, al dipartimento di Giustizia di nominare un super procuratore per il caso Biden. Richiesta rilanciata anche dal conservatore Lindsey Graham: «Se ha ritenuto necessario nominare uno special counsel per fare luce su come Trump ha gestito documenti riservati, lo stesso deve fare per come ha mal gestito il presidente Biden documenti riservati quando era vicepresidente», ha dichiarato a Fox news rivolgendosi al ministro della Giustizia Merrick Garland. Da notare come diverse figure che si occuperanno di svolgere le indagini sono strettamente legate al Partito democratico: Garland, infatti, è stato nominato da Biden, mentre Debra Steidel Wall, responsabile degli Archivi nazionali, ne divenne vicedirettrice nel 2011 sotto l’amministrazione Obama. Al contrario di Trump quindi, Biden non dovrà confrontarsi con attori istituzionali accusabili di ostilità nei suoi confronti.

Il primo lotto di documenti ritrovato riguarderebbe il periodo compreso tra il 2013 e il 2016 e, secondo le indiscrezioni [2] della CNN, potrebbe contenere documenti collegati alle attività in Ucraina del figlio del presidente, Hunter Biden: quest’ultimo entrò ai vertici della società energetica ucraina, Burisma, mentre il padre – proprio nel periodo a cui risalgono i file – contribuiva a supervisionare i rapporti tra Washington e Kiev e aveva fatto pressione per silurare Viktor Shokin, il procuratore che stava indagando su Burisma per corruzione. Sulla questione, i repubblicani vogliono aprire un’indagine parlamentare [3] e i documenti appena emersi potrebbero contribuire ad istruire ulteriormente il caso.

Nel frattempo, Joe Biden ha scelto di non esprimersi sull’accaduto: nel suo recente viaggio a Città del Messico, infatti, non ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano spiegazioni sul caso, mentre ha affermato di essere rimasto «sorpreso» sulla scoperta dei primi dieci file e sul secondo lotto di documenti non ha rilasciato dichiarazioni. Dall’altra parte, Trump, l’ex presidente Mike Pence e il neopresidente della Camera Kevin McCarthy hanno accusato l’amministrazione Biden di doppiopesismo. Ora saranno i democratici a dover rispondere delle accuse che fino a poco tempo fa rivolgevano a Donald Trump, registrando una notevole perdita d’immagine e di credibilità che rischia di trasformarsi in una crisi politica.

[di Giorgia Audiello]