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Effetto lockdown: in Italia ora è boom di bronchioliti pediatriche

Quanto atteso per la stagione influenzale 2022-2023 si sta verificando: nelle ultime settimane sono aumentati ovunque i casi di malattie respiratorie e il Covid-19 sembra essere stato soppiantato da influenza, RSV, scarlattina, adenovirus e altri patogeni. Ma perché sono proprio i più piccoli ad essere colpiti maggiormente?

A sollevare la questione è la Società Italiana di Pediatria, che nel comunicato stampa [1] del 11 gennaio 2023, afferma come in molte delle realtà del Paese le Pediatrie siano messe a dura prova a causa del boom di infezioni respiratorie nei bambini “specie le bronchioliti da Virus Respiratorio Sinciziale (VRS) che sta colpendo in particolare i bambini sotto l’anno di vita”; insistendo sulla necessità di rafforzare le terapie intensive pediatriche (TIP, poche e mal distribuite) e chiedendo su questo tema un intervento immediato del Governo.

«La situazione è difficile, ma il sistema tiene, seppur con grandi sforzi – afferma Giuseppe Banderali, Vicepresidente SIP e Direttore della Neonatologia e Pediatria dell’Ospedale San Paolo di Milano – registriamo un notevole incremento di accessi al Pronto Soccorso rispetto agli ultimi due anni; da novembre i posti letto sono sempre pieni, occupati per il 60% da bambini con infezioni respiratorie, di cui il 20-25 % sono bronchioliti da VRS».

Anche Giovanni Corsello, direttore del Dipartimento Materno Infantile dell’Ospedale dei Bambini di Palermo si è espresso sulla questione: «Registriamo un incremento degli accessi in PS per infezioni respiratorie del 300% superiore rispetto ai due anni precedenti, con l’80% dei posti letto occupati da bambini con bronchiolite da VRS. Due condizioni stanno rendendo particolarmente gravosa l’assistenza: da un lato l’età dei bambini con bronchiolite da VRS, soprattutto neonati e lattanti, e dall’altro lato, i casi di ‘coinfezioni’ causate da più agenti patogeni che in contemporanea colpiscono lo stesso organismo. Condizioni, queste, che richiedono spesso il ricovero in ospedale, nei casi più gravi in
terapia intensiva e un notevole sforzo organizzativo.»

La risposta del The Lancet

Ormai è noto l’impatto che hanno avuto le misure di contenimento per il Covid-19: dopo due anni di scarsa circolazione virale dovuta alle massicce misure di prevenzione, stiamo risentendo di una maggiore suscettibilità nei confronti di alcune infezioni.

L’argomento in questione è stato trattato il 22 ottobre scorso dal The Lancet [2] nello studio Respiratory syncytial virus: paying the immunity debt with interest (tradotto: Virus respiratorio sinciziale: pagare il debito immunitario con gli interessi).

L’elaborato va ad analizzare il caso della Nuova Zelanda, sollevando alcune preoccupazioni su potenziali epidemie di RSV nei bambini più gravi rispetto a quelle degli scorsi anni, “Dovute al cosiddetto debito immunitario, termine proposto per descrivere la scarsità di immunità protettiva derivante da lunghi periodi di bassa esposizione a un determinato agente patogeno, lasciando una percentuale maggiore della popolazione suscettibile alla malattia”.

La Nuova Zelanda, infatti, in seguito ad un parziale allentamento (per consentire i viaggi senza quarantena con l’Australia) della rigorosa politica di chiusura delle frontiere nell’aprile 2021, ha registrato un rapido aumento dei casi e dei ricoveri da bronchiolite. Al picco (settimana 28, 2021), i numeri di sorveglianza RSV [3] erano più di cinque volte la media del picco registrato tra 2015 e 2019. Va sottolineato che “sebbene ci fosse più malattia, la gravità non era maggiore rispetto agli anni precedenti”.

Nonostante questo però gli scienziati hanno sollevato alcune preoccupazioni rivolte soprattutto ai Paesi dell’emisfero settentrionale, ormai inoltrati nel terzo inverno dall’inizio della pandemia da Covid.19, poiché le pressioni derivanti dalle epidemie di RSV, in questi Stati, potrebbero essere maggiori di quanto non sia stato visto in Nuova Zelanda. Infatti, se l’arcipelago è in gran parte privo di COVID-19 e influenza (1 ricovero ospedaliero per COVID-19 nei bambini tra 0 e 4 anni e nessun isolato influenzale positivo in nessuna fascia di età) non si può dire lo stesso degli Stati dell’emisfero settentrionale.

Per questo motivo, hanno concluso gli scienziati “Ora è necessaria la pianificazione delle misure preventive. Saranno necessarie misure di controllo delle infezioni, come tenere a casa neonati e bambini con sintomi respiratori, e gli ospedali dovrebbero prepararsi a un numero maggiore di ricoveri rispetto a quanto suggeriscono i dati storici”.

Sarebbe proprio questo “debito immunitario”, quindi, a destare la preoccupazione degli studiosi nei confronti del RSV, per il quale l’immunità temporanea si ottiene attraverso l’esposizione al virus e gli anticorpi materni, trasferiti ai neonati con l’allattamento, diminuiscono rapidamente.

[di Iris Paganessi]