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Le conseguenze sulla salute delle sostanze chimiche usate nella moda

Che la moda abbia un impatto negativo sull’ambiente e sulla vita di coloro che ci lavorano ormai è cosa nota: dalle microplastiche rilasciate a ogni lavaggio fino alle tonnellate d’indumenti abbandonati a cielo aperto nei deserti nel sud del Mondo, dalle disumane condizioni di lavoro in moltissime fabbriche fino ai fiumi che cambiano colore stagionalmente per via degli smaltimenti selvaggi delle sostanze chimiche utilizzate. 

Sostanze che si riversano nell’ambiente ma che rimangono anche attaccate alle fibre dei capi che poi andremo a indossare, con le eventuali conseguenze per la nostra salute

Il ciclo di produzione di un capo o di un accessorio è un processo lungo e macchinoso, che parte dalla coltivazione della fibra (per la quale spesso sono usati pesticidi), la sua lavorazione per diventare filato, poi tessuto e infine un capo confezionato; in tutti questi passaggi la chimica è presente, sotto forma di tintura, stampa, trattamenti preparatori e altri passaggi utili a conferire determinate qualità al capo (impermeabilità, traspirabilità, anti-macchia, anti-pieghe, e così via). In questo senso la chimica è funzionale, ma in alcuni casi può essere tossica, portando con sé conseguenze poco piacevoli per la salute umana. Per questo motivo nell’Unione Europea l’uso delle sostanze chimiche è regolamentato [1] dal REACH e per lo stesso motivo Greenpeace ha lanciato la campagna Detox My Fashion nel 2011. Il problema della chimica, però, sussiste, in quanto ciò che è considerato nocivo in una parte del mondo può non esserlo in un’altra; con la delocalizzazione della produzione e con merci che vanno e vengono, diventa difficile individuare e tenere sotto controllo le sostanze tossiche realmente presenti nei capi. E spesso arrivano, purtroppo, brutte sorprese [2].

Quali sono e perché sono pericolose?

Le sostanze chimiche impiegate nel settore tessile sono tantissime; Greenpeace aveva evidenziato 11 gruppi particolarmente nocivi tra i quali alcuni trattamenti ritardanti di fiamma (FR), che possono interferire con gli ormoni e indebolire le difese immunitarie; gli ftalati, usati come plastificanti per PVC, che possono influire sulla riproduzione (sono regolamentati in Europa, in America e Cina, ma solo nei prodotti per bambini); i metalli pesanti, usati in alcune tinture o per la conservazione delle fibre, sono tossici e possono danneggiare il sistema nervoso. Altra sostanza a destare preoccupazione è la formaldeide: usata come prodotto anti-piega, battericida e in alcuni processi di tintura per garantire solidità in seguito ai lavaggi, può causare tumori e irritare la pelle. Le Ammine aromatiche, derivanti da azo-coloranti, sono cancerogene e proprio per questo bandite in Europa fin dagli inizi degli anni 90 (sono regolamentati nella maggior parte del mondo, ma ogni tanto spuntano ancora). Insieme a loro sono state individuate altre 33 sostanze CMR (cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione) appartenenti al gruppo di metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), solventi, per i quali, nel 2020, sono stati istituiti dei valori limite, oltre i quali il prodotto è dichiarato fuori legge. Questo vale per capi d’abbigliamento, calzature, accessori e altri articoli che sono spesso a contatto con la pelle (federe, lenzuola, coperte, accappatoi, asciugamani). 

Un discorso a parte meritano gli PFAS [3], per gli amici “forever chemicals” (un nome che non promette niente di buono, perché in pratica non spariscono mai): una serie di circa 9mila composti chimici usati per impermeabilizzare e rendere i prodotti (non solo tessili) resistenti all’acqua o alle macchie. Tecnicamente gli PFAS vanno a creare uno strato in grado di rendere traspiranti i capi anti-pioggia; quando la membrana si rompe, le sostanze finiscono nell’aria dove possono essere inalate o sulle superfici ed essere ingerite [4]. A loro sono collegati a svariati problemi di salute, come cancro, disturbi renali, difetti della nascita e malattie del fegato. Oltre al fatto che inquinano pesantemente acqua e terreno, finendo direttamente nei cibi. 

Le buone notizie e un paio di consigli

In merito alla questione “chimica” governi e istituzioni mondiali si stanno impegnando per rendere sempre più stretti i controlli e, nello stesso REACH, vengono introdotte ogni anno nuove sostanze proibite e nuovi limiti a quelle consentite. È un lavoro in corso, per il quale ci vuole tempo e pazienza. In quanto consumatori, purtroppo, non abbiamo troppi strumenti a disposizione per capire quali e quante sostanze sono presenti nei capi: nelle etichette non ci sono informazioni di questo tipo (le aziende si appellano al segreto commerciale), motivo per cui diventa difficile valutare e scegliere. 

Un’indicazione in più può essere data dalla presenza, sui cartellini, di certificazioni come OEKO-TEX o BLUESIGN. In linea di massima, mentre aspettiamo passaporti digitali dettagliati, il consiglio è di controllare l’etichetta composizione, valutare il Paese di fabbricazione, informarsi sull’azienda, diffidare dei prodotti che scoloriscono e… lavare gli indumenti prima di indossarli. Una piccola accortezza che può salvare la pelle.

[di Marina Morgatta]