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“In Ucraina ci sono mine antiuomo italiane”: l’Ambasciata russa accusa Roma

In un comunicato apparso sui canali social dell’Ambasciata russa in Italia viene mostrata la foto di alcune mine antiuomo che sarebbero state disinnescate dai genieri russi in territorio ucraino. L’accusa è che si tratti di ordigni di fabbricazione italiana, affermazione immediatamente smentita dal ministro della Difesa Guido Crosetto. Le smentite arrivano anche dalla onlus Campagna italiana contro le mine e dal coordinatore della campagna di Rete pace e disarmo Francesco Vignarca, che dichiara come «la foto dell’ambasciata russa dimostra solo il “lungo” impatto delle armi (alcune in particolare), ma non c’entra con forniture militari recenti».

“Queste mine di fabbricazione italiana TS/6.1, TS50 e TS/2.4 (MATS/2) sono state bonificate da genieri russi in Ucraina. E quanti di questi ‘souvenir dall’Italia’ rimangono in terra ucraina? Le persone ne soffriranno per molto tempo…”: così l’Ambasciata russa in Italia descrive l’immagine che appare in foto. A distanza di poche ore il ministero della Difesa italiano ha pubblicato un comunicato [4] di risposta del ministro Crosetto, nel quale la Russia viene accusata di “mentire sapendo di mentire”. “Le mine riprodotte nel tweet”, spiega Crosetto, “ricordano le mine di fabbricazione italiana Valsella/Tecnovar, che non possono essere italiane per una moltitudine di ragioni. Primo fra tutti perché la produzione di mine antiuomo in Italia si è interrotta più di 28 anni fa con una moratoria del governo italiano e la successiva legge 374/1997 che le mise definitivamente al bando a partire dall’adesione del nostro Paese, tra i primi firmatari del trattato di Ottawa contro le mine antiuomo. Inoltre, le mine antiuomo di produzione italiana sono state esportate fino agli inizi degli anni ’90. La licenza di produzione fu concessa anche ad altri Paesi, come si può evincere dalla sigla dell’unica mina antiuomo ritratta in foto, una VS50 non prodotta in Italia ma in estremo oriente”.

Come ricordato [5] dalla onlus Campagna Italiana Contro le Mine, inoltre, la Russia, al contrario dell’Italia, non è firmataria del trattato di Ottawa del 1997, il quale sancisce la messa al bando di tutti i tipi di ordigni esplosivi attivati dalle vittime. La Russia, denuncia la Campagna, ha utilizzato almeno 7 tipi di mine antiuomo nelle regioni ucraine di Donetsk, Charkiv, Kiev e Sumy, come sottolineato [6] anche da Human Rights Watch. Non è stato possibile, fino ad ora, reperire informazioni certe sull’utilizzo di tali ordigni da parte dell’Ucraina, mentre è certo che sia Kiev che Mosca facciano ampio uso di mine anticarro.

Il direttore della Campagna, Giuseppe Schiavello, ha inoltre sottolineato [5] come nostro Paese sia «comprovatamente e riconosciutamente uno dei Paesi più impegnati al mondo nella “Mine Action” che in ambito di cooperazione va dalla bonifica umanitaria, all’assistenza alle vittime, al reinserimento socio economico dei sopravvissuti, all’educazione al rischio mine oltre che all’universalizzazione del Trattato di messa al bando delle mine antipersona e della Convenzione sulle Munizioni Cluster». A suscitare perplessità, aggiunge Schiavello, è che le mine non siano state fotografate sul luogo del ritrovamento, ma rimosse, lavate ed esposte.

Anche Francesco Vignarca, coordinatore della campagna di Rete pace e disarmo, ha appoggiato [7] la replica di Crosetto, aggiungendo tuttavia che la vicenda “dovrebbe far riflettere decisori politici (e opinione pubblica) sulla delicatezza dell’esportazione di armi, che sfugge sempre ai percorsi ‘ideali’ di chi vuole vendere armi con troppa faciloneria (ed interesse). Triangolazioni, traffici, effetti di lungo periodo sono pericolosi”.

[di Valeria Casolaro]