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Il teatro del sogno

“Tu sei l’ora/ del sonno, che porta/quella scena-non scena, /quel dolore-non dolore:/ venerata e oscura/ notte fraterna, / nella quale la mia anima/ è oppressa al di là /della vuota frontiera../chimerico veliero/ abbandonato, /astratta liberazione/ dall’essere e dal pensare”.

Cosi ‘La luce della notte‘ di Fernando Pessoa perché davvero il sogno è uno spettacolo della mente ma di una mente che trova senza cercare, che vive senza sapere perché né dove, che prende il tempo come carte tenute in mano dove la donna è vicina, poniamo, a un tre di fiori e il jack condivide per qualche minuto la vicinanza dell’asso di cuori.

Personaggi assortiti quale merce dell’inconscio, accatastata sul banchetto di un mercato simbolico dove il tutto e il nulla sono la stessa cosa e il venditore ha il viso coperto.

Nave dei folli e dei rovinati: questa era una iconografia del Cinquecento e così la piazza universale, l’accozzaglia di ogni sentimento e di ogni figura, di ogni ordine e di qualsiasi disordine, nella commedia dell’arte della vita come sogno.

Poco in effetti è riconoscibile nel sogno, c’è sempre una quota di sorprese, di conferme e di smentite. E poi, come in un canto della Divina Commedia, si trovano vicini donne e uomini lontani nel tempo e nello spazio, accomunati soltanto per essere stati comparse o protagonisti della vita, con le stesse colpe e le stesse virtù.

Vita è sogno, diceva Calderon de la Barca, ogni notte andiamo a teatro e non sempre la commedia ci piace.

Gli autori comunque siamo noi che l’abbiamo scritta senza rendercene conto, con scene, fondali, musiche, parole che ci risuonano come nuove o come antiche, già sentite.

Ad esempio, quanto ai colori, è difficile sognarli, quasi impossibile. E pensare che il colore fa parte della varietà del mondo, come pensano i giapponesi. I quali ritengono che nel colore sia possibile rinvenire il senso della variazione, la diversità insita in ognuno, quella libertà individuale che si esprime con ‘junin toiro‘, cioè ‘dieci persone, dieci colori’ . E diremmo dunque anche: dieci persone dieci sogni diversi.

Perché il sogno è sì un teatro ma è anche una conversazione immaginaria, imprevedibile che ci apre ogni volta prospettive frastagliate.

Consiglio lo splendido immaginifico libro di Laura Imai Messina, WA, Edizioni Tea, per continuare a sognare cioè a godersi, alla giapponese, le mille sfumature dello spettacolo della vita.

“Il mondo esteriore si era insomma dischiuso nella notte, senza nulla spiegare” . Così avrebbe detto Pessoa. È vero. Ma qualcosa lo avrebbe pure spiegato, magari la volta dopo. Sempre che fossimo tornati ben disposti a teatro.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]