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Microsoft punta sull’intelligenza artificiale di ChatGPT per sfidare Google

Indiscrezioni riportano che Microsoft voglia ravvivare prossimamente il suo motore di ricerca, il quasi dimenticato Bing. Pare normale che la Big Tech senta la necessità di rilanciare un prodotto che si stima influenzi solamente il 2,47% del Mercato, tuttavia a essere inusuale è piuttosto l’approccio che la Big Tech starebbe intavolando: adoperare l’intelligenza artificiale che alimenta GPT per creare un sistema inedito e altamente competitivo.

A cavallo tra novembre e dicembre, GPT e le derive [1] a esso connesse hanno fomentato la viralità internettiana e le fantasie transumanistiche del web. Il generatore di testi è caratterizzato ancora oggi di grandi, grandissime carenze, tuttavia il potenziale che emerge dallo stesso è di notevole portata, in più la Rete ha accolto con gioia l’idea che il progetto fosse seguito da un’azienda che viene comunemente percepita come non-profit, OpenAI. La verità, come spesso capita, è più complessa. OpenAI ha al suo interno OpenAI LP, azienda che è ben felice di lavorare per massimizzare gli incassi e che nel 2019 ha ricevuto un investimento di circa un miliardo di dollari proprio da parte di Microsoft. Nel comunicato [2]in cui si notifica la suddetta partnership, OpenAI ha dunque esplicitato l’intenzione di voler legare la propria intelligenza artificiale a una licenza e di aver scelto la Big Tech come alleato chiave.

Nel settembre dell’anno successivo, Microsoft ha ottenuto l’uso esclusivo [3] del modello di linguaggio GPT-3, lo strumento più avanzato a disposizione di OpenAI. Utenti e appassionati possono in ogni caso interagire con l’interfaccia messa a disposizione dal laboratorio di ricerca, ma l’impresa fondata da Bill Gates è divenuta l’unica a poter sfruttare il codice di programmazione. L’ipotesi che Microsoft stia per mettere a frutto i suoi privilegi per dare una sferzata a Bing è tutto meno che campata per aria e le voci di corridoio raccolte da The Information [4] sembrano invero affidabili. Nello specifico, Microsoft vorrebbe integrare le meccaniche dietro a GPT entro la fine di marzo nella speranza di logorare il vantaggio monopolistico dell’avversario di sempre, Google.

Come il modello di linguaggio possa trovare spazio all’interno del motore di ricerca è cosa ancora da capire. La nostra ipotesi è che, sebbene le ambizioni della Big Tech siano alte, l’introduzione effettiva dello strumento sarà cauta e progressiva, se non enormemente castigata. Come già accennato, GPT è tutto meno che un prodotto finito, lo stesso CEO di OpenAI, Am Altman, ha esplicitato in un tweet [5]che “ChatGPT è estremamente limitato” e che l’impressione di grandezza delle sue prestazioni sia “fuorviante”. “Ora come ora è un errore fare affidamento a [ChatGPT] per qualsiasi compito importante”, la conclusione del dirigente.

L’approccio orientato alla frugalità digitale è peraltro supportato dalla stessa Google, la quale, pur lavorando nei suoi laboratori a un omologo di GPT, GLaM, ha rivelato lo scorso dicembre alla CNBC [6]di non voler affrettare i tempi perché preoccupata degli eventuali “danni reputazionali” che deriverebbero dal mettere in campo uno strumento imperfetto. Rispetto alle aziende giovani – ovvero OpenAI – Google ritiene di avere un’immagine più difficile da difendere nel caso si verificassero scenografici passi falsi e preferisce dunque adottare un approccio “conservatore”. Esiste però un’ulteriore lettura dei fatti: in un periodo storico-politico in cui inserzionisti e politici prestano massima attenzione ai danni sociali causati dalla disinformazione, eventuali flop potrebbero accendere l’attenzione immediata dei legislatori, i quali potrebbero dunque decidere di intervenire con decisione ancora prima che questo genere di intelligenze artificiali possano essere adeguatamente raffinate. Un futuro tutt’altro che auspicabile per aziende che da sempre confidano nella lentezza della burocrazia al fine di accumulare profitti.

[di Walter Ferri]