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I soldati israeliani incriminati per le violenze sui palestinesi sono meno dell’1%

Una denuncia per danni causati a palestinesi diretta verso un soldato israeliano si conclude con un’incriminazione solo nello 0,87% dei casi. La maggioranza delle denunce rivolte all’esercito israeliano, infatti, viene archiviata, la maggior parte delle indagini viene chiusa e, nei rari casi in cui i soldati vengono perseguiti, ricevono sentenze clementi. Inoltre, alti ufficiali e funzionari israeliani sono attualmente esenti da responsabilità per sospetti crimini di guerra, secondo la legge israeliana. I dati, citati in un articolo [1] da +972 Magazine,  provengono da una ricerca di Yesh Din [2], organizzazione che documenta le violazioni dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati: con un’analisi statistica del sistema di applicazione della legge militare per un periodo di cinque anni (2017-2021), l’organizzazione ha dimostrato che, anche senza una legge che garantisca loro l’immunità ufficiale, i soldati israeliani godono di impunità quasi totale quando sono violenti verso i palestinesi. 

L’attuale sistema giudiziario israeliano funge da “maschera” per Israele e allo stesso tempo serve tenere al di fuori della gestione penale la comunità internazionale. Politici e giuristi israeliani, infatti, hanno descritto il sistema giuridico del Paese come un “giubbotto antiproiettile” [3] che protegge Israele da interventi legali stranieri. In base allo Statuto di Roma, infatti, Israele rivendica la sua volontà di indagare sui propri crimini – la cosiddetta “complementarità” [4] – e questo spesso gli consente di rimanere fuori dalla giurisdizione dei tribunali internazionali. In questo senso, l’esistenza di un sistema di applicazione della legge interno contribuisce a mantenere l’illusione che Israele aderisca a uno Stato di diritto, continuando di fatto a consentire i crimini commessi a danno dei cittadini palestinesi con la quasi assoluta impunità dei responsabili.

Tra il 2017 e il 2021, sempre secondo il report di Yesh Din [5], sono state presentate all’esercito israeliano un totale di 1.260 denunce per reati commessi dai soldati contro i palestinesi o le loro proprietà, di cui almeno 409 riguardavano soldati che hanno ucciso palestinesi. Questo include 237 civili uccisi durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno a Gaza nel 2018-19, 84 casi di uccisioni e ferimenti di palestinesi durante l’assalto militare a Gaza nel maggio 2021 e altri 939 casi di uccisioni, danni e reati contro la proprietà commessi dalle forze di sicurezza israeliane nei Territori palestinesi occupati. Ma queste cifre fornite dall’esercito israeliano non si avvicinano al numero totale di casi di palestinesi uccisi o feriti dalle forze di sicurezza israeliane: secondo i dati delle Nazioni Unite [6], tra gli anni 2017-2021, i membri delle forze di sicurezza israeliane hanno ucciso 614 civili palestinesi e ne hanno feriti 76.340 nei Territori palestinesi.

I dati forniti dall’esercito dimostrano anche una gestione assurdamente clemente di queste denunce: la maggior parte di esse è stata archiviata di punto in bianco dopo un semplice “esame preliminare”. Su 1.260 denunce, sono state aperte solo 248 indagini, e solo 11 di queste indagini hanno portato a incriminazioni contro i soldati – tre delle quali riguardavano l’uccisione di cittadini palestinesi. Ciò significa che su centinaia di casi che hanno sollevato il sospetto penale che i soldati israeliani abbiano ucciso civili palestinesi, solo tre hanno portato a una vera e propria incriminazione. Da qui il dato per cui la probabilità che una denuncia per danni causati ai palestinesi da un soldato si concluda con un’imputazione è solo dello 0,87%. Di questi 11 casi tra il 2017 e il 2021, poi, cinque erano stati filmati e pubblicati. Forse in questi casi la documentazione non ha lasciato altra scelta ai tribunali che proseguire con un’accusa. 

Ma bisogna anche considerare il tipo di conseguenze di cui si parla. Nei rari casi in cui i soldati che uccidono i palestinesi vengono perseguiti, le accuse sono relativamente minori, tra cui “abuso di autorità fino a mettere in pericolo la vita”. Le sentenze poi sono estremamente clementi, considerando la gravità degli atti. Per esempio, il soldato che ha sparato e ucciso senza il permesso del suo comandante Othman Rami Hiles, [7] un ragazzo palestinese di 14 anni, è stato condannato a soli 30 giorni di servizi sociali. A titolo di riferimento, questa è la stessa punizione che un gruppo di soldati ha ricevuto dopo essere stato processato per aver forato le gomme di veicoli palestinesi. Un soldato che ha aperto il fuoco contro una famiglia palestinese la cui auto era stata coinvolta in un incidente stradale, uccidendo un uomo [8] che si stava avvicinando per assistere la famiglia e ferendone gravemente un altro, è stato condannato a tre mesi di servizi sociali.

L’altissima percentuale di impunità e le esigue conseguenze che i responsabili devono affrontare una volta incriminati permettono a Israele di continuare a mantenere la facciata di uno Stato rispettoso della legge, consentendo di fatto il perpetrarsi dei crimini a danno dei cittadini palestinesi. 



[di Sara Tonini]