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La fine e l’inizio

Pensiamo a un film. Se la fine non ci soddisfa, allora è tutto il film che non ci convince, restiamo in sospeso, immaginando chiusure alternative.

Nella conclusione del film si evidenzia il significato prevalente di tutto quello che abbiamo visto, si prepara un ipotetico futuro. La seconda giovinezza di quelle storie, pronte a riprendere chissà dove e chissà quando. Magari ci sarà un sequel…

Pensiamo invece all’inizio del film, è come se si preparasse qualcosa: personaggi lontani, ognuno preso nelle sue faccende, che poi si incontrano. Immagini montate in modo alternato che non capiamo ancora quale situazione preparino, dense di un potenziale che si snoda poi come in un gioco di carte.

L’anno nuovo è come un film, il suo regista non lo conosciamo così bene, i produttori speriamo che cambino perché così almeno le storie non si ripeteranno, i personaggi in parte varieranno, anche in questo caso lo speriamo, perché è spaventosamente noioso assistere a spettacoli che si assomigliano, anche se è consolatorio pensare che una vicenda, un carattere appartenga a un genere, abbia le sue ricorsività, risponda a regole e ad attese.

Ogni racconto però è una realtà speciale, esiste finché lo vediamo o lo leggiamo. Proviamo a giocare su una certa distanza: siamo immersi nei fatti narrati, che diventano nostri, oppure ne restiamo distaccati.

Magia della narrazione questa. Non mettere subito a fuoco ogni immagine.

E così pure per i fatti che ci aspettano nel 2023 potremmo agire con un certo distacco simbolico, mitigare le passioni, sospendere gli esami razionali, tenerci un po’ sospesi, come se la fine dei fatti fosse già scritta ma noi non avessimo fretta di conoscerla.

Restiamo ancora un po’ nel cinema, aspettiamo che il pubblico si allontani, e noi soli in sala con i nostri sogni.

La fine e l’inizio, il nuovo inizio, la vecchia fine. La realtà preme, prima o poi dovremo lasciare la sala, per incontrare nuove realtà, nuovi inizi.

L’inizio, questa la vera utopia, l’inizio di qualcosa di nuovo che ci chiami in causa, che abbia bisogno di noi.

Alle fini ci siamo abituati. Sono il prezzo della politica, sono le trappole del potere, sono i trucchi del calendario.

Finirà la guerra in Ucraina, i mercati devono ripartire, i morti no, ma ogni guerra ha i suoi caduti, finirà anche il Covid ma non del tutto perché le varianti sono sempre pronte, come quando cambia il governo e le somiglianze sono garantite.

Finiranno gli sbarchi dei migranti, e allora magicamente ci verranno risparmiate connivenze e stupidità. Ma soprattutto morti senza senso. Finiranno le proteste in corso, tutti inebetiti circoleremo automatizzati sui marciapiedi senza fare rumore.

‘È ora di finirla’, non c’è espressione più stolta. E quelli che dicono ‘fine!’ per chiudere qualsiasi altra possibilità…!

Quando inizierà il 2023 inauguriamo un nuovo rito. Un rito di incoraggiamento per questo nuovo anno, questo minorenne incazzato con il mondo, che ci regala la sua rabbia e le sue aspettative.

Per un nuovo inizio allora differente da tutti gli altri. Con noi registi anche soltanto per un attimo di momenti meravigliosi, esaltanti. Come se non avessero fine.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]