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Il Gabon sta facendo di tutto per proteggere la sua foresta pluviale

C’è un Paese, nel continente africano, che negli ultimi anni si è distinto per gli sforzi ambientali e di conservazione compiuti: il Gabon, una nazione così ricca di flora e fauna selvatica [1] da essere soprannominata “l’Eden dell’Africa”. Le sue foreste – che coprono quasi il 90 percento della sua terra – sono tra quelle che assorbono più CO2 al mondo, processando ogni anno l’equivalente di un terzo delle emissioni di carbonio della Francia. Motivo per cui il Governo e i suoi abitanti hanno deciso di adottare regole rigide per mantenere in piedi la maggior parte degli alberi, cercando di contribuire in maniera sostanziale a limitare i danni di una crisi climatica globale.

Obiettivi che, fino a qualche decennio fa, sarebbero stati impensabili da prefissare. Il Gabon è infatti un piccolo stato la cui economia si è sempre alimentata con il petrolio, di cui un tempo in Africa ne era il quinto esportatore. Da quest’attività proveniva la maggior parte del profitto. Ora, al contrario, il Paese spera di sostentarsi aiutando il mondo a evitare il collasso, adottando una serie di strategie che dovrebbero incoraggiare i paesi più ricchi a pagare quelli più in difficoltà per tenere in vita le loro foreste. Nell’interesse di tutti. «Se fermi la deforestazione, dovresti essere ricompensato per aver rinunciato ad altre forme di sviluppo economico», ha affermato lo scienziato Andrew Mitchell. «Le foreste dovrebbero valere più da vive che da morte». L’argomentazione portata avanti dal Governo del Gabon è semplice. Le foreste pluviali forniscono un “servizio” al mondo, togliendo dall’aria milioni di tonnellate di carbonio. Un “servizio”, però, che non produce alcuna entrata economica. Per questo spesso i paesi più poveri sono spinti ad abbattere le proprie foreste (per ricavarne legname da vendere) piuttosto che proteggerle.

E noi non solo non incentiviamo la loro salvaguardia, ma ne favoriamo la scomparsa. Dati alla mano, da soli gli europei, ad esempio, sono responsabili del 10% [2] della deforestazione globale per via dell’importazione di prodotti agricoli e forestali. «E paesi come il Gabon, che hanno protetto le loro foreste, dovrebbero essere ricompensati per averlo fatto e avranno bisogno di qualche incentivo per continuare su questa strada», ha detto in un’intervista [3] il ministro dell’acqua, delle foreste, del mare e dell’ambiente, Lee White. Infatti, mentre la Repubblica Democratica del Congo perde circa 500.000 ettari all’anno a causa della deforestazione, tra il 2010 e il 2020, il Gabon ne ha tagliati “solo” 12.000 [4], meno dello 0,1% all’anno grazie a «diverse decisioni coraggiose che hanno contraddistinto il Gabon come leader nelle politiche di gestione ambientale e forestale».

Vediamo quali. Di recente, ad esempio, nel paese sono state vietate le esportazioni di legname grezzo (la Francia era uno dei principali acquirenti), tenuto invece in loco per incentivare la lavorazione nelle aziende locali. Attorno al legno, infatti, è nato (grazie a numerose agevolazioni fiscali) un vero e proprio polo industriale specializzato nella costruzione di mobili, compensato e altri derivati, principalmente per creare posti di lavoro ed evitare la migrazione all’estero. Un settore che infatti ora impiega circa 30.000 persone (più del 7% della forza lavoro del paese).

La legge, tra l’altro, prevede che si taglino solo due alberi per ettaro, ogni 25 anni e che ogni tronco sia dotato di un codice a barre di riconoscimento, per combattere il disboscamento illegale. Nel 2018 il Governo ha inoltre stabilito che entro il 2025 tutte le aree adibite al disboscamento (per cui servono delle concessioni) debbano essere certificate FSC – un documento internazionale, indipendente, per i prodotti legnosi e non legnosi derivati dalle foreste. Tale standard globale garantirebbe la sostenibilità di tutto il legno ricavato dalle foreste. Ad oggi il Gabon ha raggiunto 2,4 milioni di ettari di foresta certificata, grazie anche all’istituzione di una stazione di ricerca satellitare per creare un database delle sue aree più degradate, su cui quindi serve intervenire con urgenza. «Non possiamo risolvere da soli tutti questi problemi, ma se non ci sono esempi di paesi in cui si sta cercando di trovare una soluzione, allora da chi impareranno gli altri?», ha detto il Ministro dell’ambiente.

Effettivamente gli sforzi del Paese stanno dando i loro frutti. La deforestazione e il disboscamento illegale sono diminuiti, con vantaggi anche per la fauna. Il numero di elefanti, ad esempio, è aumentato in modo significativo, passando da una popolazione di 60.000 elementi nel 1990 ai 95.000 del 2021. Per White, «Ogni paese che ha perso i suoi elefanti, ha perso le sue foreste», sottolineando lo stretto legame tra bracconaggio e deforestazione, due attività illegali che si alimentano l’un l’altra. L’approccio adottato dal Gabon sta già ispirando alcuni “vicini”. Diverse nazioni del bacino del Congo si sono anch’esse impegnate a vietare l’esportazione di legname grezzo dal prossimo anno e altri due paesi contano di creare un’industria del legno simile.

Non tutti però credono che la nazione possa tollerare a lungo questi ritmi, considerando il Paese inadatto a guidare una “rivoluzione” globale soprattutto per via del suo legame con il petrolio. Per anni il greggio gli ha fornito ricchezza, permettendo al Paese di non sprofondare nella povertà più assoluta, toccata agli altri.

In questo c’entriamo pure noi e le nostre abitudini, che se non cambiano impediranno anche al resto del mondo di cambiare, come dimostrano le parole di Ali Bongo Ondimba, attuale Presidente del Gabon: «Continueremo a consumare gas e diesel per molti anni, almeno fino a quando i paesi più ricchi non faranno di più per aiutare le nazioni più povere a finanziare la transizione energetica».

[di Gloria Ferrari]