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Perché il tetto sul prezzo del gas rischia di peggiorare la crisi europea

«La decisione dell’Europa di porre un tetto ai prezzi del gas naturale rischia di rendere più difficoltoso l’approvvigionamento nella regione e di inasprire la crisi energetica», favorendo al contempo le esportazioni verso l’Asia se i prezzi di acquisto risultano migliori. È quanto sostiene un articolo [1] pubblicato sull’autorevole media statunitense specializzato in economia Bloomberg, in cui viene citato anche un report degli analisti della banca d’affari americana Goldman Sachs. Due giorni fa, infatti, durante l’ultimo Consiglio Affari Energia del 2022, è stato raggiunto un accordo politico a maggioranza qualificata tra i membri dell’Unione che stabilisce un tetto di 180 euro, attivabile per venti giorni, a partire dal prossimo 15 febbraio. Il tetto si applicherà al Ttf (Title transfer facility), ovvero la quotazione del gas stabilita alla borsa di Amsterdam: una volta attivato non saranno consentite transazioni sui futures sul gas naturale che rientrano nell’ambito di applicazione del tetto al di sopra di un cosiddetto “limite di offerta dinamica”. Il meccanismo di correzione del mercato verrà monitorato dall’Acer e in caso di emergenza nella sicurezza dell’approvvigionamento il massimale potrà essere disattivato immediatamente. La premier Giorgia Meloni a Roma e il ministro per l’Ambiente e la sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, a Bruxelles, hanno esultato all’unisono parlando di «vittoria dell’Italia», essendo la Penisola una delle prime nazioni ad avere proposto la misura come soluzione alla speculazione sui prezzi dei beni energetici.

Tuttavia, la decisione europea, arrivata [2] dopo mesi di lunghe discussioni e accordi mancati, non è esente da potenziali effetti negativi, in quanto espone il Vecchio continente a rischi di carenza di approvvigionamento dirottando le esportazioni verso l’Asia. Inoltre, secondo alcuni analisti di Goldman Sachs, tra cui Samantha Dart, «un tetto massimo senza un limite massimo associato alla domanda rischia di peggiorare la carenza di offerta di gas in Europa, incoraggiando i consumi». Inoltre, prosegue l’analisi, «ciò potrebbe restringere l’offerta globale il prossimo anno e, nel peggiore dei casi, costringere i governi a razionare il gas». Non è un caso, dunque, che la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, abbia avvertito [3] proprio ieri, durante la prima riunione della piattaforma Ue per gli acquisti congiunti, che «il 2023 sarà più difficile e potremmo dover affrontare un potenziale deficit di quasi 30 miliardi di metri cubi di gas naturale il prossimo anno». La soluzione proposta dall’esecutivo comunitario è quella degli acquisti congiunti di gas. La von der Leyen ha, infatti, proseguito [4] affermando che «Trasformando in realtà l’acquisto congiunto di gas, utilizzeremo il peso economico e politico dell’Ue per garantire maggiori forniture ai nostri cittadini e all’industria». Mentre il vicepresidente della Commissione, Maros Sefcovic, ha asserito che «la nostra priorità immediata è prendere tutte le misure necessarie per l’aggregazione della domanda e l’appalto congiunto ben prima che inizi la stagione di riempimento dello stoccaggio di gas il prossimo anno. C’è la volontà politica e ora invito la nostra industria del gas a svolgere il suo ruolo importante. Non c’è tempo da perdere, poiché ogni ritardo ha un prezzo».

Sarà difficile però pensare che gli acquisti congiunti possano ridurre la concorrenza con i giganti asiatici. Sempre secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa newyorkese, infatti, «L’industria [energetica N.d.A.] ha avvertito che i carichi di GNL potrebbero favorire l’Asia se i prezzi sono superiori ai limiti in Europa, proprio mentre la domanda della Cina si risveglia con l’allentamento delle restrizioni “Zero Covid”». Frank van Doorn, capo del commercio presso la Vattenfall Energy Trading GmbH – società leader nel commercio di energia in Europa – ha aggiunto anche che «la capacità della Cina di rilanciare la crescita è un importante punto interrogativo», sostenendo che «il tetto del prezzo europeo non sta influenzando il mercato ora, ma renderà il commercio più costoso in futuro».

La misura della Commissione non ha trovato l’adesione di tutti i membri dell’Ue: Austria e Olanda si sono astenute, mentre l’Ungheria ha votato contro proprio a causa dei possibili effetti negativi della mossa europea. Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha lasciato in anticipo la riunione lanciando un avvertimento a Bruxelles: «Saremo liberi su eventuali modifiche al contratto per le forniture di gas con la Russia, senza notificarlo alla Commissione», ha sottolineato. Sull’intesa, però, c’è stato il benestare della Germania, che ha ottenuto una modifica al regolamento sui permessi alle rinnovabili.

Nel frattempo, Bloomberg riferisce che alcuni importatori asiatici hanno esultato per l’imposizione di un tetto massimo in Europa, in quanto «gli importatori di GNL in Europa e in Asia competono presso gli stessi esportatori per gli approvvigionamenti, come Stati Uniti e Qatar». In questo contesto, il price cap ridurrebbe «guerre di offerta fuori controllo – e picchi di prezzo – per le spedizioni tra le due regioni», favorendo i mercati asiatici.

[di Giorgia Audiello]