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Covid, 1 deceduto su 6 ha contratto infezioni batteriche in ospedale

Un alto tasso di persone che hanno contratto il Covid potrebbe essere deceduto a causa dell’ospedalizzazione, o quantomeno come concausa. In questi casi, il decorso della malattia sarebbe stato influenzato dalla contrazione di infezioni batteriche ad alto tasso di antibiotico resistenza nelle strutture ospedaliere. È quanto rivelato dal programma televisivo Report, che dichiara di aver ricevuto dall’Istituto Superiore della Sanità uno studio [1] che dimostra come il 19% dei pazienti Covid ricoverati avesse anche infezioni batteriche e come, su un campione di 157 pazienti deceduti tra il 2020 e il 2021, l’87,9% avesse contratto le infezioni in ospedale, con batteri che raggiungevano punte di resistenza agli antibiotici del 95,5%, rendendo di fatto le infezioni incurabili. «Molti di questi pazienti sono morti per la sepsi, non per il Covid» ha dichiarato al programma Claudio d’Amario, direttore generale della Prevenzione al Ministero della Salute tra il 2018 e il 2020, specificando come a cadere vittime di questi germi «che purtroppo girano negli ospedali» fossero anche i pazienti intubati. Durante la degenza, il 70,7% del campione era stato ricoverato in terapia intensiva, il reparto con la maggior percentuale di infezioni batteriche rilevate (ad esempio l’88,7% di LRTI).

«Se andassimo a fare una revisione, il 40% dei decessi non avrebbe nulla a che vedere con il Covid» ha aggiunto d’Amario, facendo riferimento a un “problema metodologico”. Anche il direttore generale dell’AIFA, Nicola Magrini, ha ammesso come «l’antibiotico-resistenza sia stato un fattore che ha contribuito alla difficoltà del trattamento e di cura». Magrini fa poi un passo indietro affermando che l’infezione secondaria sia stata «un elemento aggiuntivo in un paziente comunque molto critico. Qualcuno di questi certamente è morto avendo acquisito quest’infezione o con anche quest’infezione». Un’affermazione al ribasso, considerando i dati disponibili e la discrezionalità nella definizione di soggetto “molto critico”. Partendo dall’età risulta che la media tra i 157 pazienti deceduti fosse di 71 anni, 9 in meno rispetto a quella dei pazienti deceduti e positivi al Covid in Italia, secondo i dati [2] raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità dall’inizio della sorveglianza fino a gennaio 2022. Del campione totale, 32 pazienti (20,4%) avevano malattie respiratorie regresse, 42 (26,8%) soffrivano di diabete, 19 (12,1%) di neoplasia e 26 (16,6%) di collasso renale. Resterebbero così 38 soggetti privi di patologie concomitanti, il 25% del totale. Un dato non trascurabile, che potrebbe anche essere maggiore dal momento in cui le informazioni disponibili non permettono di affermare se uno di questi pazienti avesse più patologie regresse. Va ricordato, infatti, che ben il 67,8% dei soggetti deceduti e positivi al Covid tra l’inizio della pandemia e gennaio 2022 presentava tre o più patologie concomitanti.

Lo studio redatto dai membri dell’ISS riapre il dibattito sulla gestione del coronavirus da parte delle autorità italiane, mettendo in discussione i numeri su cui queste ultime hanno basato le loro strategie di contrasto alla pandemia nonché i livelli di sicurezza sanitaria delle strutture. «I pazienti Covid erano ricoverati a lungo, e se in quell’ospedale c’è già un grosso problema con l’antibiotico-resistenza, come accade in Italia, la degenza si prolunga e si associa a un alto tasso di complicazioni e quindi di mortalità», ha dichiarato Christoph Lübbert, esperto di malattie infettive e medicina tropicale all’Università di Lipsia.

[di Salvatore Toscano]