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Rigoberta, Tolstoj e le api

La lettura crea ponti impensabili, collega testi lontani, produce consonanze e dissonanze, dissidi e coincidenze, sincronicità insomma, per dirla con Jung.

Sfoglio Guerra e pace di Tolstoj (1865-68), alla caccia di immagini forti e di considerazioni storiche ancora pienamente valide. Siamo nell’Epilogo dell’imponente romanzo, Tolstoj scrive che “il mare agitato della storia d’Europa s’era ritirato nelle sue rive. All’aspetto, pareva tornato alla calma: ma le forze segrete che muovono l’umanità… proseguivano la loro azione”.

Qualche pagina dopo, per ragionare sul fatto che ogni personalità umana, pur nei propri limiti, porta un contributo “a fini universali”, Tolstoj si serve dell’immagine suggestiva dell’ape.

“Un’ape, che s’era posata su un fiore, punge un bambino. E il bambino, pieno di paura per le api, dice che il fine delle api sta nel pungere la gente. Un poeta gode della vista dell’ape, intenta a sorbire dal calice del fiore, e dice che il fine delle api sta nel sùggere gli aromi dei fiori. Un apicultore… dice che il fine delle api sta nel preparare il miele. Un altro apicultore… dice che le api raccolgono il polline per… mantenere la regina… Un botanico nota che, volando col polline d’un fiore a un altro, l’ape feconda quest’ultimo…Un altro ancora, osservando la disseminazione delle piante, si avvede che l’ape coopera a tale disseminazione”.

Ma il fine ultimo delle api non si esaurisce negli scopi che si possono evidenziare e scoprire. L’esempio delle api dimostra, secondo Tolstoj, che per l’intelletto umano l’ultimo fine è inaccessibile ma che gli possono essere chiare le interdipendenze di tali fini. Così conclude Tolstoj: “All’uomo è accessibile soltanto l’osservazione dei nessi che uniscono e armonizzano la vita delle api con gli altri fenomeni della vita. E lo stesso si può dire dei fini dei personaggi storici e dei movimenti dei popoli”.

Ho avuto la fortuna di imbattermi nel libro-testimonianza di Rigoberta Menchú Tum, Rigoberta: i Maya e il mondo (Giunti 1997), un testo di denuncia che illumina poeticamente il dramma del popolo guatemalteco e dove Rigoberta, premio Nobel per la pace, intreccia i propri ricordi e la propria visione delle cose con una scrittura potente e travolgente: “Sono i sogni che mi accompagnano sempre, che mi portano sulla montagna, mi stimolano la fantasia nel lavoro. Sono i sogni a farmi rivivere l’ieri come fosse l’oggi…, che mi fanno intravedere un futuro misterioso. Non so di quanti sogni sia ormai costellato il mio cammino, ma so che ritorno sempre ad essi, come un pellegrino ritorna, tutto impolverato, al luogo in cui è nato”.

Tra questi ricordi-sogno splende il racconto delle api, animali alleati della cultura millenaria del popolo di Rigoberta, al cui centro simbolico e sociale sta il concetto di famiglia. Animali sacri le api, perché sanno vivere in comunità.

“Un giorno, a Chimel, in casa nostra entrò l’ape regina, l’ape che non esce mai dal nido: entrò in casa, e mia madre si spaventò, perché temeva potesse trattarsi di un brutto presagio… Prese la regina, con mille precauzioni e con tanto rispetto, e la riportò nell’arnia”. Nei giorni seguenti le api sciamarono da quattro alveari vicino alla casa di Rigoberta, perché le regine avevano lasciato le arnie. Allora la famiglia di Rigoberta fecero del baccano per far capire alle api che la gente voleva che tornassero. Vennero usate tutte le tecniche consuete, togliendo l’alveare, mettendolo su un altro albero e finalmente spostando il favo, dopo aver fatto bruciare le resine benauguranti. Se poi nel favo “vi sono due regine che lottano fra loro, allora si toglie una parte del favo, si cerca un posto adatto in un tronco d’albero vicino alla casa, e si mette lì il nuovo favo… è un po’ come quando c’è da risolvere un problema di mancanza di case: si fa una manifestazione per richiamare l’attenzione”.

Ma quella volta le cose andarono a finire male, come faceva presagire la fuga dell’ape regina, alla famiglia mancò il miele da regalare ai vicini durante la Settimana santa. E infine il fratello di Rigoberta venne portato via dall’esercito: il fratello che, come tanti altri uomini della sua terra, non sarebbe più tornato a casa.

Le api dunque forniscono un linguaggio interpretativo, si prestano a dare senso agli eventi, esse stesse d’altronde producono segnali simbolici molto strutturati, soprattutto attraverso la forma delle loro danze, come aveva dimostrato Karl von Frisch fin dal 1927.

Per di più, in molte tradizioni mitologiche europee, ad esempio in quella lituana, come ricordava A.J. Greimas, la danza delle api che intrecciano forme nello spazio viene accostata alla attività del tessere e le api tessitrici forniscono perfino idee di disegni e pattern alle donne che stanno al telaio. Tanto che una dèa lituana, in quanto tessitrice, viene considerata insieme ape e donna.

La suggestione fornita dal casuale incrocio di Tolstoj e Menchú si rafforza poi se facciamo un salto nell’antico mondo greco, dove ad esempio, in occasione delle Tesmoforie, le cerimonie dedicata a Demetra, la dèa delle messi, le donne sposate che partecipano alla festa, nota Greimas, sono simbolicamente indicate, in quanto fertili, come ‘melissai’, cioè come api.

Il carattere archetipico pare dunque essere per le api quello del tempo, quel nesso simbolico originario che fa parlare a Tolstoj delle api a proposito della storia, quello che fa evocare a Rigoberta il valore della famiglia, cioè della alleanza sociale e della continuità e persistenza nel tempo, quel tempo potenzialmente illimitato che presiede e che circonda l’arte del tessere, della donna-ape- tessitrice, di Demetra patrona dei raccolti, cioè della ciclicità del tempo.

Ma vorrei concludere con il miele di Aristeo, narrato da Virgilio, la storia del pastore a cui morivano le api quale punizione divina per aver intralciato il destino di Euridice, promessa al cantore Orfeo, il quale inutilmente scenderà negli Inferi per riprendersi l’amata. A conclusione della storia, la pacificazione è compito di Aristeo che sacrificherà un bue per chiedere perdono agli dèi. E dalla carcassa del bue morto prese vita spontaneamente uno sciame di api.

Api dunque come simbolo di rigenerazione, di inizio di un tempo nuovo, dopo i guasti e gli orrori della storia che non ha paura né vergogna di ripetersi.

[di Gian Paolo Caprettini]