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L’Ungheria ha bloccato l’invio di nuovi fondi europei all’Ucraina

Alla riunione del Consiglio europeo dei ministri delle Finanze (Ecofin) svoltosi ieri 6 dicembre, gli Stati membri dell’Ue non hanno raggiunto l’unanimità per quanto riguarda la prevista erogazione di 18 miliardi di euro a Kiev per il 2023: l’Ungheria, infatti, ha posto il veto, bloccando per il momento l’invio dei fondi all’Ucraina. Il governo Orban ha giustificato la scelta con la contrarietà a finanziare nuovi aiuti a Kiev attraverso l’indebitamento comune dell’Unione, ma sullo sfondo rimane la battaglia politica tra Ungheria e UE che verte su un altro argomento: il 65% dei fondi che Budapest deve ricevere dall’UE sono al momento bloccati per le violazioni allo stato di diritto che Bruxelles imputa ad Orban. La mossa del governo ungherese è quindi da inquadrare innanzitutto come una tattica volta a mettere pressione all’Unione per ottenere i propri fondi, bloccando quelli destinati all’Ucraina.

Tutti e due i lati gli aspetti sono stati d’altra parte rivendicati dal governo ungherese. Il ministro delle Finanze di Budapest, Mihaly Varga, ha spiegato [1], che «l’Ungheria considera un pericoloso precedente il fatto che il pagamento dei fondi Ue sia legato ad altre questioni completamente estranee. La Commissione mantiene il blocco dei pagamenti, nonostante il governo ungherese abbia rispettato pienamente gli impegni assunti». Il presidente Viktor Orban, invece, ha insistito sulla questione del debito comune, spiegando che Budapest non è contraria a fornire aiuti finanziari a Kiev, bensì alla modalità della loro erogazione: «l’Ungheria è pronta a fornire assistenza finanziaria all’Ucraina, su base bilaterale. Nessun veto, nessun ricatto. Vogliamo però convincere gli Stati membri che il debito comune dell’Ue non è la soluzione. Se continuiamo a percorrere la strada verso una comunità del debito, non potremo tornare indietro», ha asserito il presidente ungherese.

Da parte loro, gli altri Stati dell’Unione hanno letto la mossa di Budapest come un ricatto del governo magiaro per ottenere i finanziamenti del PNRR alle condizioni da esso stabilite: la Commissione, infatti, ha bloccato il trasferimento di 7,5 miliardi di fondi di coesione a Budapest (pari al 65%del totale) a causa del mancato rispetto delle «condizionalità dello stato di diritto». Nello specifico, Budapest non avrebbe completato le 17 riforme concordate con l’Ue, riguardanti per lo più l’indipendenza della magistratura, entro lo scorso 17 novembre, termine massimo fissato per l’adempimento. Da qui, la volontà di porre un veto [2] da usare come leva per ottenere i fondi in questione, come era già accaduto anche con la questione della tassa minima alle multinazionali che Budapest aveva respinto l’estate scorsa. Dal canto suo, però, l’amministrazione ungherese ritiene di avere adempiuto tutte le riforme e di non approvare, invece, l’utilizzo del bilancio pluriennale europeo per fornire le garanzie necessarie al prestito.

A conferma del fatto che il sostegno finanziario a Kiev e i fondi del PNRR ungherese sono due argomenti tra loro strettamente interrelati – che sia la Commissione che il governo magiaro utilizzano come strumenti di pressione – è intervenuto [3] il ministro ceco, Zbynek Stanjura, presidente di turno dell’Ecofin: «Voglio essere molto chiaro su una cosa, vedo il nuovo sostegno finanziario all’Ucraina, il PNRR ungherese e la direttiva per la tassazione minima come un pacchetto unico. L’approvazione del pacchetto dipenderà dallo sviluppo delle misure che l’Ungheria sta prendendo per proteggere il bilancio. Per questo abbiamo chiesto alla Commissione un aggiornamento sui progressi compiuti in Ungheria per una maggiore cooperazione», ha affermato.

Per aggirare il veto posto dall’Ungheria, la Commissione europea sta cercando un’alternativa, di modo da erogare i primi fondi all’Ucraina già a inizio gennaio, senza tenere conto del voto di Budapest: l’idea è quella di utilizzare garanzie nazionali a copertura delle emissioni, senza richiedere una modifica del bilancio comunitario che implica l’unanimità. «Cercheremo una soluzione sostenuta da 26 Stati», ha detto Stanjura, aggiungendo anche che «La presidenza ceca è pienamente impegnata a trovare un compromesso da raggiungere nei prossimi giorni. Se ci arriviamo, con un accordo magari al Coreper la prossima settimana, l’approvazione avverrà attraverso una riunione dell’Ecofin in videoconferenza a fine anno».

Sempre ieri l’Ecofin avrebbe dovuto esprimersi sulla proposta della Commissione di congelare i 7,5 miliardi di euro destinati all’Ungheria, ma la decisione è stata rinviata su richiesta di Francia, Italia e Germania, le quali hanno chiesto una nuova analisi aggiornata che tenga conto dei progressi compiuti da Budapest dopo il 19 novembre, data in cui si è espresso l’esecutivo europeo. Potrebbe trattarsi di un modo per dare tempo al governo magiaro di modificare le sue prospettive e conseguire le condizionalità sullo stato di diritto e sbloccare così anche le questioni relative ai finanziamenti a Kiev e alla tassa globale minima.

[di Giorgia Audiello]