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Musk annuncia chip sull’uomo entro 6 mesi, ma i test sulle scimmie sono stati disastrosi

«Mi aspetto che entro 6 mesi il primo device di Neuralink sia sperimentato su un essere umano». Nel corso dell’evento Show and Tell [1] che si è tenuto il 30 novembre, Elon Musk ha annunciato il desiderio di ottenere entro sei mesi l’approvazione dalla Food and Drug Administration americana (FDA) per poter avviare la sperimentazione del chip cerebrale sul primo essere umano. Obiettivo il potenziamento dell’essere unano previo foro di 8 mm nel cranio e inserimento di un chip collegato al cervello con fili più sottili di un capello umano, che possono essere “iniettati” con un ago di 24 micron per rilevare l’attività dei neuroni.

Neuralink ha avuto fin dalla sua nascita un percorso burrascoso, con il licenziamento di alcune figure chiave e i misteriosi investimenti fatti dallo stesso Musk nella diretta rivale della sua azienda, la Synchron [2]. Questa società statunitense di neurotecnologie, fondata da un gruppo di imprenditori, ha conseguito sorprendenti risultati nell’interfaccia uomo-macchina e ha già ottenuto il via libera per l’impianto di un dispositivo chiamato Stentrode su alcuni pazienti affetti da paralisi. Stentrode non viene impiantato direttamente al cervello ma connesso a quest’ultimo tramite i vasi sanguigni, con una procedura simile a quella dell’inserimento di uno stent.

Il chip di Neuralink, invece, verrà impiantato grazie a un foro di 8 mm nel cranio e collegato al cervello con fili più sottili di un capello umano, che possono essere “iniettati” con un ago di 24 micron per rilevare l’attività dei neuroni. L’impianto avverrà, sotto la guida di un neurochirurgo, per mano di un robot programmato per ridurre al minimo il margine di rischio per la salute e le funzionalità cerebrali.

Per legittimare questo tipo di ricerche, si sta puntando nel far credere all’opinione pubblica che i dispositivi neurali servano esclusivamente a curare le patologie neurodegenerative o le paralisi. Ma altri obiettivi più insidiosi sono stati palesati dallo stesso Musk nel recente passato: la start-up nasce dalla volontà di Musk di ibridare l’uomo con le macchine per arginare il pericolo dell’Intelligenza Artificiale, definita dall’imprenditore visionario come «la più grande minaccia alla nostra esistenza». Secondo Musk [3], col tempo i robot potrebbero diventare più intelligenti di noi e finire col soppiantarci: l’IA può creare «un dittatore immortale [4]» dal quale «non è possibile scappare» e che a differenza dei despoti umani non invecchierebbe.

Ossessionato dall’idea di una possibile “apocalisse robot”, Musk punta così sul potenziamento umano [5], l’unico modo, a suo dire, per prevenire e respingere i rischi della IA e dall’altra a garantire una forma di immortalità digitale: «Se il te stesso biologico muore, puoi caricarlo in una nuova unità. Letteralmente». Musk ha infatti ipotizzato l’utilizzo di questa tecnologia anche per fare il backup della memoria di un essere umano morente, per poter trasferire i suoi ricordi su un nuovo corpo umano o su un corpo meccanico (si tratta del mind uploading).

La soluzione che Musk propone per arginare il problema della singolarità è in un certo senso inquietante come il problema stesso: fondersi cioè con le macchine per non restare indietro nell’evoluzione di queste. Qua entriamo, di fatto, nel campo del post-umano.

Fino a oggi, Neuralink ha condotto i suoi test unicamente sugli animali, iniziando con i maiali (ribattezzati cyberpork) e poi sui primati. Lo scorso anno fu mostrata in pubblico una scimmia [6] che, grazie al chip impianto nel cervello, era in grado di giocare con un videogioco in modo totalmente autonomo.

Pochi, però, conoscono la tragica sorte delle scimmie usate come cavie dallo staff di Neuralink. 15 delle 23 scimmie a cui sono stati impiantati i chip cerebrali presso l’Università della California a Davis nel 2017-2020 sono morte [7]. La Commissione Medici per la Medicina Responsabile (PCRM), dopo aver esaminato le registrazioni fatte dai veterinari sarebbe giunta alla conclusione che le scimmie utilizzate nell’esperimento della Neuralink erano state maltrattate e soggette a “estrema sofferenza”. «Quasi ogni singola scimmia a cui erano stati impiantati degli impianti nella testa soffriva di effetti sulla salute piuttosto debilitanti […] stavano mutilando e uccidendo gli animali», ha raccontato il direttore del patrocinio della ricerca del PCRM Jeremy Beckham, citato dal New York Post.

Notizia che dovrebbe sollevare quantomeno un dibattito sul rapporto tra rischi e benefici di simili sperimentazioni, per proporre dei limiti etici alle ricerche nel campo del post-umano, le cui ombre si stanno allungando fino a sfiorare la mente e il corpo dell’uomo.

[di Enrica Perucchietti]