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Contro la perdita della biodiversità è necessario indagarne le cause profonde

Inutile ideare politiche per tentare di arrestare la perdita di biodiversità se non si conoscono nel dettaglio le cause profonde e non viene adottato un approccio più “olistico”. Il monito perviene da un nuovo studio pubblicato [1] sulla rivista scientifica ScienceAdvances, in cui viene chiarito come avere un preciso schema delle pressioni umane che influenzano prossimamente la biodiversità sia l’unico modo per agire concretamente in nome del rispetto ambientale. Continuare invece a trovare soluzioni partendo dalla superficie piuttosto che dal cuore del problema non porta altro che a limare la perdita della biodiversità senza davvero arrestarla. E se l’intenzione delle istituzioni è realmente quella di raggiungere gli importanti obiettivi fissati nel quadro Globale per la Biodiversità post 2020 della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite, allora è necessario cambiare approccio.

Finora gli studi sulle attività antropiche dirette più dannose per la perdita della biodiversità sono stati limitati a determinati aspetti o a un sottoinsieme del problema che è invece alla nascita. Ecco perché, denunciano i ricercatori, nessun risultato ottenuto riesca davvero ad essere utile ai leader mondiali per attuare politiche in nome di una maggiore salvaguardia.
I ricercatori hanno confrontato diversi studi precedenti, notando come questi di rado prendano in considerazioni gli impatti prima del 1970. Risalire alle cause profonde ha precluso un’attenta indagine che ha messo a confronto ricerche e analisi per arrivare a un preciso elenco, dove le cause principali riconosciute della perdita della biodiversità sono state il cambiamento nell’uso e lo sfruttamento diretto della terra e del mare, entrambi fattori dominanti anche per il cambiamento climatico e l’avvento di specie aliene invasive; il primo prende forma con l’intensificazione della gestione della terra utilizzata per la coltivazione o l’allevamento di animali mentre il secondo si manifesta attraverso la pesca, il disboscamento, la caccia e il commercio di fauna selvatica. Questi sono i principali aspetti sui quali occorre intervenire.

Specialmente negli ultimi anni la biodiversità, ovvero la varietà di tutte le forme di vita che esistono, è diminuita sempre più velocemente. Ogni essere vivente presente nel pianeta è estremamente importante per il corretto funzionamento del tutto ma per troppo tempo alcune attività umane, l’inquinamento e il cambiamento climatico hanno messo a serio rischio moltissime specie animali e vegetali. La biodiversità non è solo importante, ma vitale e ultimamente la vita di milioni di specie è invece all’orlo. Nel 2019, una relazione ONU [2] condivideva l’allarme lanciato dagli scienziati, riguardo il rischio di estinzione per ben un milione di specie, sulle circa otto milioni esistenti. Gli esperti già tre anni fa, ma anche ben prima, avevano dato per spacciate alcune forme di vita o vicine a estinguersi nel giro di una decina di anni. Al punto che molti ricercatori parlano del momento attuale come la sesta estinzione di massa nella storia del pianeta Terra. Ecco perché per scongiurare il peggio è bene agire nell’immediato, tenendo anche ben presente come servano milioni di anni agli ecosistemi per guarirsi da simili eventi.

Risalire alle cause principali della perdita della biodiversità globale negli ultimi decenni non deve distogliere l’attenzione dall’attuale minaccia principale, ovvero il cambiamento climatico; dovrebbe altresì dare modo di capire che diversi fattori contribuiscono ai danni attuali e che c’è bisogno di analizzarli nel dettaglio per poi porsi obiettivi che adottino un punto di vista più “olistico” rispetto a quanto è stato fatto finora.
Le negoziazioni dei governi sono ancora mosse da poca integrazione mentre fondamentale è riconoscere i legami tra biodiversità e cambiamento climatico. Non basta agire contro le cause dirette ma una volta riconosciute, è necessario scendere nel dettaglio per poi agire guardando l’insieme ottenuto, includendo dunque i cambiamenti demografici, socioeconomici e tecnologici con anche i valori sociali e le strutture di governance che li sostengono. In conclusione la strada per il momento intrapresa verso l’osannato futuro sostenibile non porterà a risultati positivi a meno che non avvenga una profonda trasformazione del punto di vista adottato, troppo settoriale e che alle volte rischia di rimanere intrappolato nella superficialità.

[di Francesca Naima]