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Nessun accordo tra Serbia e Kosovo: la polveriera dei Balcani è di nuovo sul punto di esplodere

Non si intravvede una soluzione imminente all’escalation di tensione tra Kosovo e Serbia dovuta alla “crisi delle targhe”, dopo il fallimento dei colloqui promossi dall’Unione europea tramite l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Josep Borrell, tenutisi lo scorso 21 novembre. La convocazione dell’incontro d’emergenza aveva come obiettivo il raggiungimento di un’intesa volta a scongiurare la crisi tra i due Paesi, riesplosa lo scorso 31 luglio [1], dopo che il governo di Pristina (capitale del Kosovo) guidato dal primo ministro Albin Kurti, aveva confermato l’entrata in vigore delle cosiddette “misure di reciprocità”, che intendevano porre il divieto ai quasi centomila serbi che ancora abitano il Kosovo di continuare ad usare i documenti e le targhe di Belgrado all’interno dell’autoproclamata repubblica. Una decisione inaccettabile per i serbi, che non riconoscono l’indipendenza di Pristina.

Nelle scorse settimane molti kosovari di etnia serba si sono dimessi [2] numerosi dai loro ruoli all’interno delle istituzioni del Paese. Vista la situazione precaria per la sicurezza della regione e del territorio europeo, anche l’Italia ha deciso di intervenire direttamente ritagliandosi un ruolo di mediazione di primo piano, cosa che il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, aveva già annunciato come indispensabile alcune settimane fa, affermando che l’Italia deve «svolgere un ruolo da protagonista» per garantire la stabilità nei Balcani. Dopo l’insuccesso dei colloqui in sede europea, dunque, Tajani e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, si sono recati ieri di persona in Kosovo e in Serbia per promuovere il dialogo tra i due territori, dichiarando che la visita rappresenta «un atto per una nuova strategia» dell’Italia nei Balcani e un «nuovo percorso di attenzione» per questa zona dell’Europa.

Riguardo alla riunione di emergenza voluta dalla Ue, la proposta avanzata da Borrell a Bruxelles è stata accettata dal presidente serbo Alexander Vucic, ma non da quello kosovaro, Albert Kurti che l’ha definita [3] «inaccettabile»: secondo la bozza di accordo, il Kosovo non dovrebbe infliggere multe per la mancata sostituzione delle “targhe illegali” serbe, continuando con gli ammonimenti verbali, e Belgrado non dovrebbe più rilasciare targhe serbe. «Per noi questo era inaccettabile, senza che tale proposta fosse accompagnata da ciò per cui siamo stati invitati, vale a dire un accordo definitivo per la piena normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, come sollecitato dalla Ue», ha detto Kurti. Da parte sua, Borrell ha dichiarato che la crisi delle targhe «lascia un vuoto di sicurezza molto pericoloso» in «una situazione già fragile» e pur avendo riconosciuto che la proposta è stata accettata da Vucic e non da Kurti, ha asserito che «entrambi hanno la piena responsabilità per il fallimento dei negoziati odierni e per qualsiasi escalation e violenza che potrebbe verificarsi sul campo». Il presidente del Kosovo ha chiarito di essersi recato a Bruxelles per stabilire un accordo entro il marzo 2023 che porti alla normalizzazione dei rapporti tra i due territori: per “normalizzazione”, Pristina intende il reciproco riconoscimento tra Serbia e Kosovo. Tuttavia, Belgrado è ferma sulla sua posizione di non riconoscere l’indipendenza del Kosovo dichiarata formalmente nel 2008. Le due prospettive paiono, dunque, piuttosto difficili da conciliare, anche perché si parte da presupposti differenti: mentre Pristina intende ottenere il riconoscimento da Belgrado, quest’ultima è interessata a risolvere l’impellente problema delle targhe che può portare a gravi disordini nell’area.

La visita [4] dei ministri italiani nei due territori dei Balcani vorrebbe, dunque, sopperire al nulla di fatto dell’incontro di Bruxelles attraverso una strategia che metta al centro la collaborazione economica, diplomatica, tecnologica e militare tra Pristina e Belgrado da una parte e Roma dall’altra: tra i temi discussi, infatti, ci sono stati anche quello di un possibile incontro multilaterale tra rappresentanti dei governi dei Paesi nei Balcani, che potrebbe essere organizzato a Roma, e incontri con le imprese serbe, kosovare e italiane in un Business forum da organizzare sia a Belgrado che a Pristina. Tajani ha detto che «Da Vucic abbiamo avuto la conferma di voler continuare la via del dialogo. Auspico un calo della tensione politica e anche a livello militare. Diremo ai kosovari – ha aggiunto Tajani – che iniziative unilaterali non servono a raggiungere un compromesso».  A conclusione della visita, Tajani e Crosetto si sono recati presso il Comando della missione Nato in Kosovo (Kfor), dove il contingente italiano è presente con 750 unità. Oltre ad aver ringraziato i militari, i due ministri hanno ribadito la necessità che l’Italia guadagni nella regione dei Balcani «la credibilità e il rispetto a livello politico» che si sono guadagni i nostri militari grazie a «vent’anni di impiego nella missione Kfor».

Al momento, tuttavia, la situazione nei Balcani resta tesa: il Vicepresidente della Lista serba – partito maggioritario tra i serbi di Kosovo – Igor Simic, ha spiegato [5] che Kurti non rinuncia alla sua chiara intenzione di espellere i serbi dal e ha sottolineato che la polizia di Pristina perseguita costantemente il popolo serbo, impedendogli di condurre una normale vita quotidiana. I Balcani, dunque, si configurano come la potenziale polveriera d’Europa con il Kosovo al centro di una situazione di estrema instabilità che non si è mai davvero risolta, nonostante gli accordi – assolutamente precari – raggiunti negli anni Novanta. Il Kosovo, del resto, è l’epicentro da cui scaturì la dissoluzione della Jugoslavia, dando linfa al sentimento nazionalista che poi si diffuse in tutti gli altri Stati vicini, portando alla disgregazione della federazione. Anche in questo caso, fu determinante l’intervento e l’influenza di potenze straniere che contribuirono a inasprire le divisioni. Ora il territorio in questione potrebbe infiammarsi di nuovo destabilizzando ulteriormente i fragili equilibri della regione, a partire dalla vicina Bosnia. Finché, infatti, non si troverà una reale soluzione allo status di Pristina, ci sarà sempre il rischio di una nuova guerra che si aggiungerebbe a quella ucraina e che – già negli anni Novanta – aveva smascherato il luogo comune dell’Ue come garante di pace e stabilità nel continente europeo.

[di Giorgia Audiello]