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Le radici della pace

Nelle radici delle parole, nell’origine dei termini linguistici si nasconde una rappresentazione del mondo, una forma di pensiero e perfino un destino. Dalle etimologie si ricava una ricchezza di ragionamenti, un modo di andare prima e oltre i significati correnti, di approfondire i valori delle parole che sono diventati automatici, non più trasparenti.

Prendiamo ad esempio la pace. La sua sorgente remota è almeno in due differenti campi: nella attività diplomatica e nel mestiere del falegname, del costruttore. ‘Pace’ è, ad esempio nell’antico mondo romano (pax) la situazione derivante da un accordo, da un patto che sospende le azioni di guerra da parte del nemico. ‘Pace’ e ‘pagare’ hanno un significato in comune: ‘pacato’, nel senso di tranquillo e ‘pagato’ derivano dalla comune idea di soddisfare e calmare con una distribuzione di denaro. Proprio perché la pace è intesa come uno stato transitorio ottenuto con la soddisfazione delle parti che sospendono tra di loro azioni di guerra e che vanno oltre lo stato di belligeranza grazie a  una conveniente stipula di ordine economico.

Ma ‘pace’ ha anche a fare con il falegname, e più in generale con la concordia, con l’ordine universale, per cui i Greci avevano un altro termine, ‘eirene’, per indicare una pace duratura, uno stato di armonia e accordo illimitato.

Perché il falegname? Si tratta, nella pace, quasi come nella musica, di rendere concorde ciò che è discorde, di rendere compatibili due forze, due entità antagoniste. Allora, nel mondo antico e tradizionale, il falegname è visto come un ‘congiungitore’, colui che adatta delle parti e che, per esempio, può ottenere degli incastri tra diverse porzioni  del legname in lavorazione, che vanno a collimare, si connettono e si incastrano solidamente. 

Ora, in lingua latina, ‘pàngere’, da cui ‘pax’ , pace, significa fissare, piantare e, in senso figurato, stabilire, pattuire, secondo il principio della ‘concordia discors’: rendere concorde ciò che è discorde, senza cancellare le parti in gioco ma rendendole compatibili.

Possiamo dunque capire quanto possono essere varie, e ricche di implicazioni, le considerazioni che ne possono derivare. 

Anche andando oltre. Ad esempio, una guerra in qualche modo va finita. Anche questa è una forma di pace. Come riflette Ernest Hemingway, attraverso le parole del soldato Passini, in Addio alle armi, la guerra non si vince con la vittoria ma quando qualcuno smette di combattere. “Perfino i contadini sanno che non si deve credere in una guerra”.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]