- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Soia: gli impegni sbandierati dalle aziende non incidono sulla deforestazione amazzonica

Gli impegni di diverse aziende a non acquistare semi di soia provenienti da terreni deforestati, a partire dal 2006, hanno inciso in maniera minima sul fenomeno della deforestazione nell’Amazzonia brasiliana: è quanto si evince da uno studio [1] recentemente pubblicato dalla rivista Environmental Research Letters e condotto da ricercatori del Politecnico federale di Zurigo, dell’Università di Cambridge, di Boston e di New York. “La deforestazione tropicale continua nonostante gli sforzi globali per frenare la perdita di foreste”: questo si legge nelle prime righe del lavoro, da cui è infatti emerso che dal 2006 al 2015 l’abbattimento degli alberi nell’Amazzonia brasiliana è stato ridotto di appena l’1,6% grazie agli impegni delle aziende sulla soia, la quale – giova ricordarlo – viene utilizzata soprattutto come mangime per gli animali d’allevamento.

Certo, se si guarda alle singole zone interessate dalle politiche anti-deforestazione i risultati non paiono malvagi, visto che grazie ad esse la deforestazione causata dalla soia è diminuita del 57% dal 2006 al 2015. Tuttavia, a preoccupare è non solo il limitato impatto nei confronti del fenomeno complessivo, ma anche il fatto che alla situazione dell’Amazzonia si debba aggiungere quella relativa al Cerrado, un’ecoregione del Brasile caratterizzata da una grande biodiversità di fauna e flora. Mentre infatti gli impegni delle aziende sono stati trasformati in realtà nell’Amazzonia brasiliana – seppur con risultati minimi in ottica riduzione della deforestazione in generale – lo stesso modus operandi non è stato attuato nel Cerrado, dove molti impegni non sono stati adottati in maniera efficace. “Se le aziende avessero implementato i loro impegni aziendali per la catena di approvvigionamento a deforestazione zero (ZDC) con la stessa efficacia relativa all’Amazzonia, la deforestazione per la soia avrebbe potuto essere ridotta del 46%“: questo viene dunque sottolineato nello studio in merito alla situazione del Cerrado, dove evidentemente non a caso viene prodotta la maggior parte della soia brasiliana. A tutto ciò poi si aggiunga che, sia in Amazzonia che nel Cerrado, le zone oggetto degli impegni aziendali che vieterebbero l’approvvigionamento di semi di soia in terreni deforestati coprono “meno della metà” delle aree boschive adatte alla coltivazione di soia.

«Gli impegni per la deforestazione zero sono un ottimo primo passo, ma devono essere attuati per avere un effetto sulle foreste, e in questo momento sono principalmente le aziende più grandi ad avere le risorse per farlo», ha inoltre affermato [2] la professoressa dell’Università di Cambridge e co-autrice del rapporto Rachael Garrett, aggiungendo però che «la governance della catena di approvvigionamento non dovrebbe sostituire le politiche forestali guidate dallo stato, che sono fondamentali per consentire il monitoraggio e l’applicazione della deforestazione zero». Garrett e gli altri ricercatori, infatti, pur sostenendo che sempre più aziende (comprese le più piccole) debbano rifarsi ad una catena di approvvigionamento che boicotti la deforestazione, ritengono altresì che gli sforzi del settore privato non sono sufficienti per fermare il fenomeno e che una politica pubblica di supporto sia fondamentale.

Del resto, come sottolineato nello studio, la deforestazione è il “secondo maggior contributore alle emissioni globali di gas serra dopo l’uso di combustibili fossili”, ed “a livello locale le perdite dei servizi ecosistemici da essa indotte possono ridurre la produttività agricola, minacciare i mezzi di sussistenza degli indigeni e di altri gruppi dipendenti dalle foreste, aumentare le disuguaglianze ed i conflitti”. Si tratta dunque di problemi gravi e disparati, che con ogni probabilità hanno contribuito a determinare gli impegni che sono stati presi nel recente passato a livello istituzionale. Nel 2021, infatti, alla Cop26 di Glasgow oltre 100 leader del mondo, a capo di Paesi ospitanti l’86% delle foreste del globo, si sono impegnati [3] a mettere fine alla deforestazione entro il 2030. Tuttavia, al momento sembra che le premesse non siano delle migliori: basterà ricordare che secondo i ricercatori le catene di approvvigionamento di altri prodotti alimentari, tra cui l’olio di palma ed il cacao, sono più complesse di quelle della soia e quindi più difficili da monitorare. Anche un eventuale monitoraggio, però, a quanto pare darebbe risultati deludenti, dato che un’analisi [4] pubblicata recentemente da Race to Zero (una campagna promossa dalle Nazioni Unite) ha avvertito che oltre il 90% delle principali aziende forestali ed agricole che si sono impegnate ad azzerare le emissioni di carbonio entro il 2050 rischia di non raggiungere i propri obiettivi proprio a causa della mancanza di progressi sul tema della deforestazione tropicale.

[di Raffaele De Luca]