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Il debutto di Giorgia Meloni a Bruxelles come presidente del Consiglio

Come prima visita all’estero nelle vesti di presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha scelto Bruxelles anziché le singole cancellerie europee, non rispettando la prassi e lanciando un chiaro segnale di distensione alle istituzioni comunitarie. Un messaggio che invoglia a chiudere in un cassetto il passato, dove Meloni dipingeva l’Unione europea come «una banda di usurai», e guardare insieme al futuro. I temi affrontati nel corso dei tre bilaterali con Roberta Metsola, Ursula von der Leyen e Charles Michel sono stati vari, dall’energia al sostegno all’Ucraina, passando per NextGenEU e migrazione. Al riguardo, Giorgia Meloni ha invocato la «difesa dei confini esterni». Negli auspici della coalizione al governo e dei suoi programmi [1] elettorali, tale richiesta dovrebbe concretizzarsi nella cooperazione tra Unione europea e Paesi nordafricani per la riduzione dei flussi migratori, ad esempio attraverso la creazione di “hot-spot strategici” gestiti congiuntamente.

Dopo aver abbandonato la retorica anti-Bruxelles e abbracciato la logica europeista, Giorgia Meloni sta continuando a rassicurare l’Unione europea sulla propria affidabilità e sulla volontà di collaborare per trovare «le soluzioni migliori sulle grandi sfide». La scelta di Bruxelles come primo viaggio istituzionale all’estero completa, almeno in via teorica, la metamorfosi meloniana, passata a una destra sì nazionalista ma inserita in «una dimensione europea». Quello che sembra un ossimoro potrebbe tradursi in un compromesso tra Roma e Bruxelles: maggiore libertà di manovra su alcuni temi in cambio di fedeltà all’Unione e al suo indirizzo politico generale. Un’ipotesi che al momento, visti i numerosi vincoli europei, appare comunque complicata. Nonostante ciò, Giorgia Meloni ha manifestato la propria soddisfazione al termine degli incontri, dichiarando: «sono contenta di come sia andata questa giornata nella quale ho portato il punto di vista italiano».

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Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola

Il linguaggio del corpo immortalato dagli scatti [3] istituzionali ha evidenziato una certa intesa tra Giorgia Meloni e la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola. Quest’ultima, in un intervento [4] a Mezz’ora in più, ha ribadito il bisogno della solidarietà europea nella gestione dei flussi migratori, dichiarando che ne avrebbe parlato con la stessa Meloni in occasione dell’incontro a Bruxelles. Attualmente, sono 985 i migranti che, a bordo di tre navi di ONG diverse (Ocean Viking, battente bandiera tedesca, e Humanity 1 e Geo Barents, entrambe battenti bandiera norvegese) attendono da dieci giorni il via libera per poter sbarcare in un porto sicuro dove poter ricevere cure e assistenza, che al momento Italia e Malta si rifiutano di offrire. La Germania aveva chiesto all’Italia di “prestare velocemente soccorso” ai migranti a bordo delle navi, mentre Giorgia Meloni ha dichiarato apertamente che «o la Germania la riconosce e se ne fa carico o quella diventa una nave pirata». Palazzo Chigi intende far valere infatti la norma per cui “il primo approdo” scatta già sulla nave che trae in salvo le persone di cui si deve quindi far carico il Paese di bandiera. Nel diritto internazionale, vige l’obbligo di salvataggio dei migranti in mare e di approdo in un porto sicuro, come ha ricordato la Commissione. In una sentenza del 2016, la Corte di Cassazione ha sancito che il dovere di soccorso in mare di migranti non potrebbe dirsi adempiutosi se non con lo sbarco delle persone recuperate in mare in un porto sicuro.

La mancanza di coesione nella gestione del fenomeno migratorio mette in discussione i valori dell’Unione e gli auspici di Roberta Metsola che, se da un lato parla di solidarietà verso coloro che «prendono una barca e si avventurano in un viaggio pericoloso» e ribadisce l’obbligo di rispettare il diritto internazionale, dall’altro apre agli «accordi con i Paesi da cui partono i migranti», tendendo una mano a Meloni, che a Bruxelles ha dichiarato di aver trovato «orecchie pronte ad ascoltare». Nei giorni scorsi, è stato rinnovato il Memorandum [5] tra Italia e Libia, l’accordo siglato nel 2017 per ridurre gli sbarchi verso le coste italiane. Un’intesa criticata a più riprese dalle associazioni per i diritti umani, che denunciano le condizioni disumane dei migranti nei centri di detenzione libici.

Nel corso degli incontri a Bruxelles, Meloni ha poi ribadito «la necessità di dare il prima possibile concretezza alla soluzione sulla crisi dell’energia e sul tetto del gas [10]», raggiunta due settimane fa. Nei mesi scorsi, l’intervento comunitario è stato più volte auspicato da Meloni (in linea col suo predecessore Mario Draghi), anche quando la Germania ha annunciato la propria misura [11] nazionale per far fronte ai rincari. Lunedì prossimo si riuniranno i 19 ministri delle Finanze dell’Eurogruppo per affrontare il tema dei deficit nazionali e di eventuali fondi supplementari, in deroga ai limiti fissati da Bruxelles, che gli Stati potrebbero utilizzare per proteggere famiglie e imprese dai rincari di luce e gas. L’Italia spinge sull’azione comune tra i Paesi UE, che però hanno esigenze e capacità di spesa molto diverse tra loro. Sulla carta, il nuovo governo potrebbe già spendere circa 20 miliardi per tutelare le proprie imprese e famiglie dal caro vita, tuttavia manca l’accordo in maggioranza, con la Lega che spinge per dirottare risorse verso pensioni e taglio delle tasse. Nel corso degli incontri con le alte cariche europee, si è poi discusso del nuovo Patto di Stabilità [12] – che potrebbe esporre l’Italia al rischio commissariamento – e alle modifiche al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Il nuovo governo vorrebbe correggere alcuni capitoli di spesa, alla luce delle nuove emergenze dettate dall’inflazione, tuttavia da Bruxelles sono arrivati segnali piuttosto chiari: nessun cambio di rotta ma soltanto “aggiustamenti”.

In riferimento a giovedì scorso, Meloni ha parlato di interlocuzione positiva. Tuttavia, le strette di mano e i sorrisi non sono riusciti a nascondere la tensione tra la destra italiana, alla ricerca di accettazione necessaria per imporre la propria visione all’interno dell’indirizzo politico, e Bruxelles, che sta considerando quanto, se e cosa cedere per evitare ulteriori malumori in un’Europa ancora lontana dal realizzare i valori di solidarietà, reciprocità e cooperazione sanciti dai trattati.

[di Salvatore Toscano]