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Facebook è sempre più allergica alle notizie

Prima indiscrezioni, poi la conferma di Meta: a inizio 2023 Facebook inizierà a smantellare su scala globale la curatela umana della sua sezione News. Il gigante del social prosegue dunque la sua campagna di allontanamento dal mondo giornalistico, una scelta che aveva già assunto un carattere incisivo lo scorso luglio, periodo in cui Facebook aveva notificato la decisione di non voler rinnovare i contratti di collaborazione che aveva in attivo con alcune storiche testate statunitensi.

Un simile scostamento dal mondo dell’informazione è stato giustificato all’epoca  [1]da una portavoce di Meta al The Wall Street Journal [1]: “la maggior parte delle persone non visita Facebook per le notizie e in un’ottica di business non ha senso sovrainvestire nelle aree che non si allineano alle preferenze degli utenti”. Pur promuovendosi come una piazza pubblica in cui confrontarsi liberamente, Meta rimane dunque un’azienda e come tale trova più profittevole il lasciar perdere le notizie in favore della cosiddetta creator economy.

Checché ne dica l’azienda, la relazione tra news e social è sempre stata estremamente vivace – secondo i dati 2020 del Pew Research Center [2] un terzo degli statunitensi si tiene informato attraverso Facebook –, ma questo controverso sodalizio è stato a più riprese anche al centro di accese diatribe economico-politiche. Da una parte ci si preoccupava che la nuclearizzazione delle informazioni sui social potesse togliere soldi ai giornali che quelle news le avevano scritte, dall’altra che una mancata selezione delle informazioni fosse in grado di causare disinformazione tossica. Non sorprende dunque che Meta abbia a un certo punto deciso di accompagnare la sua selezione algoritmica delle informazioni con una cernita umana subappaltata ad aziende esterne. Realtà editoriali che, a giudicare da un report di Press Gazette [3], offrivano peraltro contratti poco virtuosi ai propri collaboratori.

Prossimamente anche questi freelance saranno però liquidati, il tutto nell’ottica di delegare interamente la selezione dei pezzi pubblicati al codice che tiene in piedi Facebook stesso. Parallelamente, i social network sotto il diretto controllo di Meta stanno progressivamente trasferendo le proprie risorse sull’introduzione di strumenti che consentano ai creator di monetizzare la propria presenza internettiana: interventi che vanno dalla creazione di un marketplace [4]per gli NFT all’estensione del ruolo delle Facebook Star [5], valute digitali con cui sovvenzionare i propri influencer di fiducia.

Sebbene la lettura immediata dei fatti suggerisca che la Big Tech stia semplicemente abbandonando le news per raggiungere lidi finanziariamente più interessanti, sussistono elementi per ipotizzare che la vicenda possa essere più articolata. Negli anni la disinformazione propagata dai social è stata accusata da media e governi di aver fomentato genocidi [6], sostenuto interessi politici [7] stranieri e agevolato assalti al potere [8] istituzionale, con il risultato che il legame tra news e social è quanto mai sotto l’attenta analisi dei legislatori. Nello specifico, gli USA stanno rimettendo in discussione [9] la tanto criticata Sezione 230, una legge del 1996 che ha esonerato per anni le Big Tech dall’assumersi responsabilità editoriali per i contenuti che selezionano e pubblicano. Nonostante sia difficile credere che la norma in questione venga annullata, resta il fatto che molte delle aziende coinvolte stiano investendo per trasformarsi in centri d’intrattenimento in grado di emulare l’approccio “leggero” ben incapsulato nel successo di TikTok.

[di Walter Ferri]