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Kristin Harila, la prima alpinista donna che poteva battere il record delle 14 vette

L’alpinista norvegese Kristin Harila [1] stava per battere il record delle quattordici vette più alte del mondo toccate nel minor tempo possibile, sfida che dopo sei mesi di sforzi è stata intralciata da una decisione del governo cinese. La Cina ha negato alla sportiva il permesso di accedere e arrampicare all’interno del Paese, impedendole di portare a termine la sfida e battere il collega uomo Nirmal Purja. Non che per Purja fosse stato facile ottenere il permesso di ingresso dalla Tibet Travel Administration, necessario per potere arrampicare nel territorio, ma dopo pressioni e richieste l’alpinista nepalese era riuscito ad attraversare la Cina legalmente per effettuare la tratta mancante e portare a termine il Project Possible 14×7 e 14, confermandosi nel 2019 il nuovo detentore di un record prima attribuito allo scalatore sudcoreano Kim Chang-Ho.

Purja è diventata la persona più veloce a scalare le 14 vette del mondo sopra gli 8.000 metri e noto in tutto il mondo grazie a 14 peaks: nothing is impossible, documentario di gran successo disponibile su Netflix che racconta l’impresa dell’alpinista. Un record mondiale quasi battuto da Kristin Harila perché partita dall’Annapurna il 28 aprile di quest’anno; la sportiva norvegese era arrivata quasi alla fine del suo percorso più velocemente del collega. Nirmal Purja ha impiegato poco più di sei mesi per portare a termine ogni tappa del percorso, scalando la sesta vetta (Makalu) in 31 giorni, ma Kristin Harila ha raggiunto lo stesso punto in soli 29 giorni. Era il 27 maggio 2022.

Il primo luglio Kristin Harila ha raggiunto il Nanga Parbat il per poi toccare, solo 21 giorni dopo la vetta del K2, seconda montagna più alta della Terra. Il 28 luglio l’alpinista si trovava in cima al Broad Peak e l’8 agosto ha invece scalato il Gasherbrum. L’11 agosto Kristina ha superato l’undicesima montagna più alta della terra, il Gasherbrum I, per poi arrivare in cima al Manaslu, il 22 settembre, data che dimostrava l’alpinista fosse sulla buona strada per arrivare a tutte e 14 le vette di più di 8.000 metri in un lasso di tempo minore rispetto a Purja. «Ho già dimostrato che le donne possono rompere barriere. Spero di avere una buona possibilità di stabilire il record, significherebbe molto per le donne in alpinismo» aveva detto la 36enne norvegese, perché quella di Kristina Harila oltre a una passionale sfida personale e a un importante obiettivo sportivo, rappresentava anche una dimostrazione pratica che avrebbe aiutato il difficile raggiungimento della parità di genere all’interno di uno sport ancora troppo intriso, come molti altri, di pregiudizi e stigma sociali, in cui le sportive vengono guardate e trattate diversamente [2] rispetto ai colleghi uomini.

A Kristin Harila mancavano sole due vette per terminare un percorso da record durato ben sei mesi, ma la Cina ha reso ancora più difficile l’accesso al Tibet per gli stranieri dall’inizio della pandemia. Il Paese ha continuato a vietare l’accesso a Kristin Harila anche se gli sforzi da lei compiuti con il proprio team hanno coinvolto il mondo dell’alpinismo facendo anche pressione sul governo norvegese. A ottobre è però stato chiaro come i permessi non sarebbero mai arrivati in tempo e la prima donna che aveva tutte la carte in regola per battere un record mondiale finora in mano a soli uomini, si è dovuta fermare per motivi che vanno oltre il proprio controllo. Ha giurato che ci riproverà l’anno prossimo e si spera che nessuno le metterà di nuovo i bastoni tra le ruote.

[di Francesca Naima]