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Israele prova le nuove armi direttamente sui palestinesi

L’esercito israeliano ha installato un sistema d’arma automatica e telecomandata in uno dei tanti checkpoint disposti sul territorio occupato da Israele. Nello specifico, si tratta di in un checkpoint pesantemente trafficato nella città occupata di al-Khalil, nei pressi di Hebron, in Cisgiordania. L’arma è prodotta dall’azienda israeliana Smart Shooter, la quale sta stringendo accordi con vari paesi del mondo. Secondo il gruppo attivista palestinese Youths Against Settlements, il checkpoint sarebbe già ben armato e protetto, senza quindi alcuna necessità di rafforzamento con questo nuovo sistema d’arma. Secondo l’organizzazione locale, i palestinesi sarebbero delle cavie per sperimentare il funzionamento di quest’arma telecomandata al fine di verificarne il funzionamento e l’ulteriore sviluppo, per poi essere venduta ad altri Paesi.

Installata [1] in settembre, secondo l’esercito israeliano, l’arma servirà per disperdere le possibili folle derivanti da proteste e rivolte, senza che vi siano conseguenze letali. Il nuovo sistema sarebbe infatti progettato sia per munizioni vere sia per proiettili di gomma. Negli ultimi anni sono stati comunque molti i casi di uccisioni anche tramite utilizzo di proiettili di gomma, senza contare i numerosi feriti. I residenti della zona si dicono molto preoccupati per quest’ennesimo pericolo alla loro esistenza.

Issa Amro, tra i fondatori di Youths Against Settlements, ha dichiarato: “Ho paura ogni volta che passo che quest’arma stia puntando contro di me, puntando contro bambini o donne. La gente è terrorizzata”. L’attivista ha anche aggiunto: “Le compagnie di sicurezza israeliane usano i palestinesi come oggetti di addestramento. L’esercito israeliano pratica la sua nuova tecnologia [sui palestinesi] per verificare se funziona o meno, poi la vende ad altri paesi”.

Il nuovo sistema d’arma è prodotto dall’azienda israeliana Smart Shooter, fondata da Michal Mor [2] e Avshalom Ehrlich [3], i quali hanno entrambi lavorato in precedenza presso la nota società israeliana di armi Rafael Advanced Defense Systems. La direzione esecutiva [4] di Smart Shooter è composta da ex militari e veterani dell’industria israeliana delle armi e della tecnologia del controllo.

Secondo il suo sito [5] web, il produttore di armi israeliano utilizza l’intelligenza artificiale, l’apprendimento automatico e la visione artificiale per trasformare le armi da fuoco tradizionali in armi intelligenti. “One shot, one hit” è lo slogan utilizzato dall’azienda, volendo indicare che le sue capacità di rilevamento del bersaglio sono così precise che sono in grado di colpire oggetti in movimento con incredibile precisione.

Negli ultimi anni Smart Shooter ha concluso contratti con vari eserciti, oltre quello israeliano. L’azienda israeliana ha infatti stretto accordi con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, con Singapore, Olanda, India e Germania; la sua tecnologia è stata inoltre selezionata [6] per un programma di difesa della NATO contro il terrorismo. Smart Shooter ha mostrato la sua arma tecnologica anche in altri Paesi come Emirati Arabi Uniti [7]Grecia [8]Inghilterra [9]Francia [10]Spagna [11]Germania [12] e Polonia [13], oltre alle recenti mostre in Australia e Repubblica Ceca [14].

Il nuovo sistema d’arma in forze all’esercito israeliano aggiunge un altro pezzo al complesso puzzle del controllo, della sorveglianza e della repressione nei territori occupati, con una sempre maggiore digitalizzazione dell’apartheid. I vari sistemi che Israele sta adottando si inseriscono in un ecosistema interagente e comunicante. Ad esempio, l’app Blue Wolf [15], un database che raccoglie immagini dei volti dei palestinesi attraverso gli smartphone, deriva da un progetto più ampio chiamato Wolf Pack, atto alla profilazione di ogni palestinese presente in Cisgiordania con dettagli che includono la storia familiare, l’istruzione e la valutazione della sicurezza. Altro esempio dell’ecosistema digitale dell’apartheid è il più noto software Pegasus [16], creato dalla società israeliana di sicurezza informatica NSO Group, che testimonia come Israele sviluppi in maniera profonda la tecnologia di sorveglianza e che sfrutti il suo sistema di apartheid nei confronti dei palestinesi come sperimentazione di tecnologie che poi vengono distribuite in tutto il mondo. Nonostante lo scandalo prodotto da Pegasus, il software è stato utilizzato da decine di Paesi e tutt’ora [17] impiegato con scopi di controllo e sorveglianza, specie di attivisti per i diritti, giornalisti e politici.

[di Michele Manfrin]