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Cosa c’è dietro le parole e le minacce nucleari tra i leader

L’arma che fino a poche settimane fa veniva considerata innominabile ora viene pronunciata ripetutamente, per brandirla come minaccia o per ribadirne l’inammissibilità in ogni forma, inclusa quella “tattica” e a cosiddetta “bassa intensità”. Desta oggettivamente stupore e allarme l’apparente noncuranza con la quale si dibatte del possibile utilizzo di armi atomiche. Ultimo il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che ha affermato che l’Europa non si farà intimidire dal rischio nucleare. Difficile credere lo pensino anche i cittadini europei che gli pagano lo stipendio. Nel discorso pubblico non sembrano essere considerate che di striscio le conseguenze catastrofiche, senza precedenti e potenzialmente irreversibili, che una guerra nucleare potrebbe comportare. Ma, in verità, quelli che possono se ne preoccupano già da tempo, tanto che non sono pochi i super ricchi del mondo che si sono già premurati di costruire per sé e le proprie famiglie dei bunker super lussuosi in vista del possibile “armageddon nucleare” evocato pochi giorni fa da Joe Biden.

Il presidente americano, durante un evento di raccolta fondi del Partito democratico, ospitato a New York da James Murdoch, il figlio del magnate dei mezzi di comunicazione di massa Rupert, ha dichiarato [1] che il mondo rischia il pericolo nucleare per la prima volta dai tempi della guerra fredda e che è necessario, dunque, trovare una «via di fuga» per il presidente russo Vladimir Putin, lasciando intendere così la necessità di trovare un accordo con la Russia. Il presidente americano ha detto che Putin non scherza quando parla del possibile utilizzo di armi nucleari, sottolineando anche che non crede che «ci sia la possibilità di usare facilmente un’arma nucleare tattica e non finire con l’Armageddon». Dichiarazioni puntualizzate successivamente, specificando che – ad ogni modo – l’intelligence americana non ha alcun indizio sul fatto che Mosca si prepari ad utilizzare le armi nucleari.

Le parole dell’inquilino della Casa Bianca arrivano dopo una serie di dichiarazioni preoccupanti. Dapprima il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, ha dichiarato [2] che «La Russia ha il diritto di utilizzare armi nucleari, se necessario, in base alla dottrina nucleare». Riferendosi al protocollo universalmente conosciuto di Mosca, che prevede esplicitamente la possibilità dell’uso dell’atomica «in difesa della propria integrità territoriale». Definizione che – dopo il referendum di annessione delle provincie ucraine di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson – desta legittimamente preoccupazione, perché – tecnicamente parlando – ora anche un attacco a queste città ucraine potrebbe essere vissuto da mosca come un attacco alla propria «integrità territoriale».

Tuttavia, secondo diversi esperti, la soglia russa per l’utilizzo di armi nucleari è estremamente alta, anche perché è evidente che tale attacco comporterebbe l’immediata risposta americana (sebbene Kiev non faccia parte dell’Alleanza atlantica), innescando necessariamente un conflitto in cui non potrebbero esserci vincitori. La dottrina della deterrenza è nata durante gli anni della Guerra Fredda per scoraggiare un’azione aggressiva e tutt’oggi il riferimento alle armi atomiche continua ad avere questa funzione: ciò è confermato dal rapporto di Kristin Ven Bruusgaard che fa parte dell’Oslo Nuclear Project ed è consulente del governo norvegese. Nel rapporto [3] in questione, Ven Bruusgaard spiega che la dottrina di Mosca è una dottrina di deterrenza che fa della propaganda un sistema strategico di tensione. Conclude, dunque, che il rischio più alto è quello di «lasciare decidere l’Occidente in base alla retorica della politica russa, più che sulla reale minaccia nucleare».

Su queste basi, nei giorni scorsi si è assistito a dichiarazioni di estrema gravità da parte di tutti gli attori coinvolti nello scontro: Giovedì, il presidente ucraino Zelensky, ha affermato [4] che la Nato dovrebbe impedire alla Russia di usare armi nucleari, aggiungendo che «abbiamo bisogno di un attacco preventivo, così loro (i russi) capiranno cosa accadrà se dovessero decidere di utilizzare il nucleare. Non bisogna attendere l’attacco della Russia. La Nato dovrebbe riconsiderare il modo in cui fare pressione alla Russia» ha concluso. Parole che hanno dato adito al dubbio che per attacco preventivo Zelensky si riferisse ad un attacco atomico, tanto che il portavoce del presidente ucraino, Sergii Nykyforov, ha dovuto chiarire tramite un post [5] su Facebook: «Avete esagerato con l’isteria nucleare e quindi lo vedete anche quando in realtà non c’è. Il presidente si riferiva al periodo pre-24 febbraio. Bisognava applicare misure preventive per evitare che la Russia cominciasse la guerra».

Anche l’Unione europea, da parte sua, ha fatto riferimento ad una possibile aggressione nucleare: il Parlamento comunitario, infatti, ha chiesto una risposta rapida ad un eventuale attacco atomico in Ucraina, attraverso una risoluzione approvata da un’ampia maggioranza che prevede oltre ad un forte aumento dell’assistenza militare a Kiev.

Pare, dunque, che il mondo si ritrovi per la seconda volta ad affrontare il pericolo atomico dopo la crisi dei missili cubani del 1962, cui ha fatto riferimento lo stesso Biden: allora, dopo l’apice della tensione che si risolse con la rimozione dei missili istallati a Cuba da parte dell’Urss e di quelli collocati in Turchia da parte americana, le due potenze – consapevoli di essere state sull’orlo della reciproca distruzione nucleare – decisero di installare un collegamento radio, detto il “telefono rosso”, per scongiurare il rischio che una guerra nucleare scoppiasse sulla base di ritardi e possibili incomprensioni. Infatti, i messaggi diplomatici impiegavano in genere dalle sei alle dodici ore per essere consegnati, esponendo le due parti in conflitto a rischi molto alti a causa della lentezza delle comunicazioni.

La linea rossa [6] che collega direttamente il Cremlino alla Casa Bianca, quindi Putin a Biden, è ancora attiva. Anzi nel 2007 è stata potenziata con l’attivazione di collegamenti in fibra ottica tali da rendere la comunicazione pressoché istantanea. La (ragionevole) speranza per l’umanità è che – al di là delle parole minacciose e delle rispettive propagandi – i leader di Russia e USA sappiano di doverla utilizzare. Il tutto in attesa di una necessaria trattativa di pace, la cui necessità è stata sostanzialmente ammessa anche da Biden, ma che potrà iniziare solo quando tutte le parti in causa saranno disposte a rinunciare a qualcosa, come è tipico, del resto, di ogni trattativa.

[di Giorgia Audiello]