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Plata o plomo: come Usa e Cina si contendono i paesi del Pacifico

Lo scorso 28-29 settembre si è svolto a Washington un vertice tra l’amministrazione Biden e una dozzina di piccole nazioni del Pacifico. All’incontro hanno preso parte i rappresentanti di: Isole Cook, Stati Federati della Micronesia, Fiji, Polinesia Francese, Nauru, Nuova Caledonia, Palau, Papua Nuova Guinea, Isole Marshall, Samoa, Isole Solomone, Tonga, Tuvalu e Vanuatu. Diverse figure di spicco dell’amministrazione statunitense hanno preso parte agli incontri con i funzionari di queste piccole nazioni, tra cui il presidente della Camera Nancy Pelosi e il Segretario di Stato Anthony Blinken, chiaro segno di quanto il vertice fosse ritenuto strategico per gli USA. Ufficialmente si è discusso di cambiamento climatico, pandemia, pesca illegale e investimenti tecnologici. ma non è tutto. Di certo significativa è la cifra di 810 milioni di dollari che gli stati uniti si sono impegnati ad investire [1] con queste nazioni.

Facile chiedersi perché, viste le crescenti tensioni con la Russia, gli Stati Uniti decidano di investire tempo e risorse in questa zona di mondo, che sotto certi aspetti potremmo definire irrilevante. La risposta è facile da intuire, sono stati che circondano la Cina. Il vertice infatti, dietro alle buone intenzioni di lotta al cambiamento climatico e investimenti a favore di nazioni povere, nascondeva, in mondo nemmeno tanto velato, un piano per accrescere l’influenza americana in un continente che negli ultimi anni ha dovuto fare i conti con il crescente peso economico e militare di Pechino. Al termine degli incontri un alto funzionario americano [4], in condizione di anonimato, ha infatti dichiarato al Washington Post che il meeting aveva lo scopo di aumentare la presenza americana nel Pacifico. Basti pensare che in questo meeting sono stati invitati rappresentanti, anche di due territori francesi – Nuova Caledonia e Polinesia Francese – e di due paesi associati con la Nuova Zelanda – Niue e le Isole Cook – uno “sgarro” verso due alleati storici.

Lo scorso giugno, il ministro degli esteri cinese Wang Yi, aveva intrapreso un viaggio diplomatico di 10 giorni nella regione con lo scopo di siglare accordi di cooperazione economica in diversi settori, incluso quello militare. Gli incontri diplomatici non avevano portato i risultati sperarti per Pechino, però probabilmente hanno rappresentato una sveglia per Washington. Un segnale la Cina, in effetti, lo aveva già mandato solo pochi mesi prima, quando nell’aprile 2022 aveva siglato un accordo con le Isole Solomone [7], che aveva colto di sorpresa l’Occidente. Pechino e la nazione del Pacifico, erano giunte ad un accordo che avrebbe garantito alla Cina la possibilità di inviare personale militare e di polizia nelle Isole Solomone, nonché di utilizzarne i porti come basi militari per le proprie navi. Il primo storico accordo tra la Cina e una nazione del Pacifico, che garantirebbe a Pechino la possibilità di installare una base militare in prossimità dell’Australia. A seguito dell’accordo, sulle le isole Solomone, erano piovute una serie di critiche e intimidazioni (quella che gli americani definirebbero una shit storm). Tanto che il primo ministro delle isole, Manasse Sogarve, non aveva usato mezzi  termini nel descrivere i tentativi dell’Occidente di trascinare la nazione del Pacifico in una nuova “guerra fredda”. Lo scorso 26 settembre, Sogarve, durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha ribadito come fosse pieno diritto per le Isole Solomone stabilire rapporti con un altro stato sovrano, e che per le Isole Solomone non esistano nemici predeterminati dalle logiche di potere dell’Occidente.

Al momento, gli Stati Uniti rispetto alla Cina, possono ancora contare su una netta superiorità militare nel Pacifico. Pechino invece punta ad accrescere la propria influenza grazie ai rapporti economici, negli ultimi dieci anni per molte isole del continente Pechino è diventato il primo partner commerciale, oltre a fornire aiuti e investimenti. La One Belt Road Initiative [8], un piano volto alla promozione del commercio dei prodotti cinesi, prevede lo sviluppo di basi commerciali in oltre 150 paesi, alcuni dei quali appunto nel nel Pacifico. Come in tante altre zone del mondo, anche qui, nel Pacifico, assistiamo alle lotte intestine tra due super-potenze che si contendo l’influenza, a colpi di plata o plomo, come userebbero dire certi malfattori.

[di Enrico Phelipon]