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La Germania rompe il fronte europeo sul caro energia: la Meloni sta con la BCE

Il governo tedesco ha annunciato nella giornata di ieri l’introduzione di uno «scudo difensivo» da 200 miliardi di euro per fare fronte all’aumento dei costi energetici e tutelare così famiglie e imprese dall’inflazione, cercando di mantenere stabile la domanda interna. Il piano, che dovrebbe entrare in vigore a dicembre e durare fino alla primavera del 2024, prevede sia un freno di emergenza ai prezzi del gas, sia un taglio dell’imposta sulla vendita di carburante. L’imposta sulla vendita del gas scenderà dal 19 al 7% e saranno incentivate le energie rinnovabili e i rigassificatori: «I prezzi devono scendere, quindi il governo farà tutto il possibile. A tal fine, stiamo creando un grande scudo difensivo» ha affermato il cancelliere Olaf Sholz. La decisione di Berlino è arrivata subito dopo il danneggiamento dei gasdotti Nord Stream, che la Germania ha fin da subito definito «irreparabile», nonostante non ci sia ancora una stima definitiva dei danni né del tempo necessario per riparare le condutture. Di conseguenza, l’azione di Berlino appare come l’extrema ratio di chi sa – a priori – che dovrà rinunciare definitivamente al gas russo.

Con un fondo [1] di 200 miliardi, la Germania si farà carico direttamente delle spese energetiche di cittadini e imprese, attraverso l’emissione di nuovo debito, contravvenendo così alle regole di austerità che costituiscono il pilastro dell’impalcatura economica europea e sostenute peraltro in primo luogo proprio da Berlino. Lo scudo introdotto spiega così la reticenza tedesca nell’introdurre il tetto al prezzo del gas, richiesto a gran voce da molti Paesi europei e in particolare dall’Italia alla quale, a differenza della Germania, non è consentito neppure lontanamente parlare di “scostamento di bilancio”. Per questo, la decisione dei tedeschi ha suscitato la preoccupazione e la reazione piccata della politica italiana che non può contare né sul tetto al prezzo del gas né su interventi di rilievo dal punto di vista fiscale, mentre proprio ieri l’Arera ha annunciato un aumento [2] del 59% delle bollette energetiche.

Il ministro delle finanze, Christian Lindner, al riguardo ha affermato che Berlino quest’anno si avvarrà dell’autosospensione del limite, costituzionalmente sancito, sul nuovo debito pari allo 0,35% del Pil, applicandolo nuovamente solo a partire dal 2023. «Non possiamo dirlo in altro modo: ci troviamo in una guerra energetica», ha affermato Lindner, aggiungendo che «Vogliamo separare chiaramente le spese di crisi dalla nostra regolare gestione del budget, vogliamo inviare un segnale molto chiaro ai mercati dei capitali». Dal canto suo, il ministro dell’Economia, Robert Habeck, ha affermato che la crisi energetica rischia di trasformarsi in una crisi economica e sociale, per cui gli aiuti governativi sono da considerarsi come una «spesa per la resistenza» contro la Russia.

Tuttavia, la «spesa per la resistenza» tedesca rischia di creare una crepa profonda nel fronte europeo: infatti, se la Germania può permettersi di fare debito per sostenere le sue imprese, ciò non è consentito all’Italia e ad altri Paesi dell’Unione – legati al “cappio” del cosiddetto  vincolo di bilancio – che si ritroveranno, di conseguenza, a dover competere con le industrie e le aziende tedesche che beneficeranno di prezzi energetici calmierati a differenza di quelle italiane e di altre nazioni europee. Ciò, molto semplicemente, potrebbe condurre alla definitiva deindustrializzazione dell’Italia, poiché le aziende che ancora operano nella Penisola potrebbero delocalizzare in Paesi più convenienti, tra cui la stessa Germania, ma anche l’Ungheria, l’India e gli Stati Uniti. Quest’ultimi, infatti, ancora una volta risultano gli unici vincitori economici nel contesto della grave crisi europea innescata dalle sanzioni e dalle conseguenze del conflitto in Ucraina. Inoltre, l’iniziativa tedesca permetterà alla speculazione dei mercati di andare avanti incontrastata, contribuendo a gonfiare il mercato artificiale dei prezzi, basato sulle scommesse finanziarie di pochi e spregiudicati operatori più che sul prezzo reale del gas.

Non a caso, la decisione di Berlino di introdurre lo scudo fiscale ha suscitato la reazione piuttosto preoccupata di Giorgia Meloni che, dopo essersi consultata telefonicamente con Mario Draghi, ha indirettamente condannato la scelta tedesca, come del resto ha fatto anche l’ex numero uno della BCE: «Di fronte alla sfida epocale della crisi energetica serve una risposta immediata a livello europeo a tutela di imprese e famiglie. Nessuno Stato membro può offrire soluzioni efficaci e a lungo termine da solo in assenza di una strategia comune, neppure quelli che appaiono meno vulnerabili sul piano finanziario», ha dichiarato [3] la probabile futura Premier con un implicito riferimento all’iniziativa tedesca. Dal canto suo, Mario Draghi ha detto che «Davanti alle minacce comuni dei nostri tempi, non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali. Nei prossimi Consigli Europei dobbiamo mostrarci compatti, determinati, solidali, proprio come lo siamo stati nel sostenere l’Ucraina».

L’Europa, dunque, procede in ordine sparso, mentre il nuovo governo italiano che si insedierà a breve pare non avere alcuna intenzione di discostarsi dalla linea dei suoi predecessori: mentre, infatti, la Germania tenta in extremis di salvare il salvabile procedendo autonomamente, la Meloni cerca una soluzione condivisa a livello europeo e non sembra voler mettere in discussione i rigidi parametri finanziari imposti da Bruxelles che soffocano l’economia del Belpaese. Tuttavia, fino ad ora la Commissione europea non ha avanzato alcuna proposta concreta per contrastare il caro energetico, salvo i razionamenti e l’idea del “price cap” che però risulta difficilmente attuabile. Nel frattempo, Bruxelles è già pronta a varare un nuovo pacchetto di sanzioni verso la Russia che, con molta probabilità, comporterà ulteriori criticità per le già fragili economie europee. Tanto che (l’ex?) alleato della Meloni, Victor Orban, potrebbe non aderirvi anche in base al referendum indetto in Ungheria sulla questione.

La mossa di Berlino, dunque, rischia di sgretolare definitivamente la compattezza europea di fronte alla crisi energetica e mette in luce non solo le enormi divergenze d’interessi all’interno dell’Unione, ma anche il differente peso politico, economico e decisionale dei vari Stati uno rispetto all’altro, con particolare riferimento alla Germania che agisce spesso al di fuori delle “regole comunitarie”. Ciò non ha fatto altro che affossare l’Italia che, non avendo e non volendo recuperare gli strumenti necessari per esercitare la sua sovranità economica e finanziaria, è probabilmente destinata a rimanere schiacciata da decisioni e politiche contrarie agli interessi nazionali, mentre Berlino cerca di perseguirli anche in barba alle “regole” e ai tanto decantati principi di “solidarietà europea”.

[di Giorgia Audiello]