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Vanuatu è il primo Paese a chiedere un trattato internazionale contro le fonti fossili

Vanuatu, piccolo stato insulare situato nell’Oceano Pacifico meridionale, è il primo Paese al mondo ad aver richiesto ufficialmente un trattato di non proliferazione delle fonti fossili. La proposta è stata presentata all’assemblea generale dell’ONU in corso a New York da parte di quello che è anche, e probabilmente non a caso, uno dei paesi più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. Il governo della piccola nazione francofona, abitata da circa 300mila persone sparse nelle ottanta isole che la compongono, chiede un trattato sulla scia di quello che venne sancito per evitare la proliferazione delle armi nucleari nel 1968, che ha limitato la diffusione delle armi e della tecnologia atomica. Fino a questo momento appelli simili a quello di Vanuatu erano stati lanciati solo da città globali, circa settanta in tutto il mondo, tra cui Los Angeles, Parigi, Calcutta.

«Ogni giorno sperimentiamo conseguenze sempre più debilitanti della crisi climatica. I diritti umani fondamentali vengono violati e il cambiamento climatico non si misura in gradi Celsius o in tonnellate di carbonio, ma in vite umane», ha annunciato il presidente dello stato, Nikenike Vurobaravu, chiedendo «lo sviluppo di un Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili, simile a quanto già fatto per le armi nucleari, allo scopo di consentire una giusta transizione globale per ogni lavoratore, comunità e nazione dipendente dagli idrocarburi».

Il governo della piccola nazione francofona, abitata da circa 300mila persone sparse nelle ottanta isole che la compongono, chiede un trattato sulla scia di quello che venne sancito per evitare la proliferazione delle armi nucleari nel 1968, che ha limitato la diffusione delle armi e della tecnologia atomica. Fino a questo momento appelli simili a quello di Vanuatu erano stati lanciati solo da città globali, circa settanta in tutto il mondo, tra cui Los Angeles, Parigi, Calcutta.

Il trattato proposto poggia sull’idea di bloccare la realizzazione di nuovi siti che utilizzano le fonti fossili, impedendo l’esplorazione di nuovi giacimenti. In seconda battuta prevede lo smaltimento rapido degli stock di fossili oggi già in uso. Il trattato prevede quindi un meccanismo internazionale finalizzato ad aggredire la fonte dell’86% delle emissioni di CO2 globali, con due principali obbiettivi: da una parte impostare un’equa transizione ecologica, dall’altra bloccare l’espansione di un nuovo progetto che utilizza le fonti fossili. Il progetto favorisce soluzioni di adattamento in linea con l’obiettivo proposto dagli Accordi di Parigi, ovvero il contenimento entro 1,5°/2° centigradi del surriscaldamento e una transizione globale giusta per ogni lavoratore, comunità e nazione che dipende dal combustibili fossili.

La richiesta avanzata rappresenta un piano per far pronte al problema del cambiamento climatico, ma potrebbe non essere accolta nell’immediato, sia perché la crisi energetica che sta colpendo l’Europa ha spinto molti dei paesi a rivedere i tempi della transizione ecologica, sia perché nessuna tra le potenze economiche mondiali al momento sembra disposta a rinunciare a qualsiasi espansione di gas, carbone e petrolio.

[di Marina Lombardi]