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Elogio della follia

Perché ragionare quando si va a votare? Davanti alla scheda è l’istinto che deve prevalere, la sana idea di punire qualcuno anche, di immaginare senza restrizioni il futuro che ti piacerebbe, e se a governare fossi tu quante fesserie faresti ma per un giorno il tuo sistema nervoso canterebbe vittoria, sì, è vero, è soltanto una scheda ma le tue convenienze, i tuoi interessi no, oggi no, domani si arrampicheranno sui vetri per spiegare la tua, la nostra follia.

E pazienza se io ho nel cuore i pescatori greci e i vignaioli toscani invece che i banchieri del Lussemburgo, i miei investimenti tremeranno, pazienza, ma io avrò guardato il cielo, avrò pensato al pane per tutti di domani, alla sofferenza di chi non se la merita, al sorriso che non deve mancare a nessuno, anche a te in divisa, ti perdono ok, ma sarebbe stato bene che avessi stretto la mano a quei ragazzi che manifestavano, se avessi fatto come il colonnello Trueba, quello di La casa degli spiriti, che abbraccia il giovane sovversivo.

Oggi, e non soltanto oggi, follia, se proprio devo votare non penserò a nessuno di quelli che entreranno in Parlamento, penserò a te, professor Rossi, che da studente mi hai insegnato a guardare negli occhi per non sbagliare, a piangere su LInfinito di Leopardi o a te professoressa Comi che mi mandasti gli auguri per la maturità o a te professor Adriano per la tua fiducia illimitata nell’Università.

Amo e ammiro molto il film di Simone Godano, uscito un anno fa, Marylin ha gli occhi neri, splendidamente scritto, diretto e interpretato, con le sue voci dissonanti e consonanti insieme, con i suoi ruoli deliranti e razionali. Un film che sprigiona un umanesimo immenso.

E approvo incondizionatamente quel che scrisse Erasmo da Rotterdam nel suo Elogio della follia (1509), quando osservò che la vergogna offusca l’intelligenza e la timidezza esagera i pericoli e distoglie dall’azione. “Ora, aggiunge Erasmo, c’è uno splendido modo di liberarsi dall’una e dall’altra, possedere un granello di follia“.

Voglio dunque essere degno dei miei pensieri utopistici di cinquant’anni fa, amare una follia che non fa male a nessuno, se non a chi ci prende in giro, una follia, comunque, amica della verità.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]