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Boom di stufe a legna contro il caro-bollette, ma in molte regioni sono vietate

Spinti dal caro bollette sono decine di migliaia i cittadini italiani che, con l’inverno alle porte, stanno cercando soluzioni alternative al riscaldamento a gas. Tra le soluzioni più gettonata vi è il ritorno alle vecchie stufe a legna. Una tendenza certificata dai tempi di consegna delle stufe di nuova costruzione, ormai difficili da ottenere prima dell’inverno, e dal costo della legna da ardere che in molte regioni è più che raddoppiato, raggiungendo i 25 euro al quintale. Una spinta al risparmio che però in diverse regioni italiane è contrastata da norme che, in nome della tutela dell’ambiente e della lotta all’inquinamento, pongono rigidi paletti all’utilizzo delle stufe, arrivando anche a prevedere multe di migliaia di euro verso chi le utilizza.

La prima Regione da citare è la Lombardia, in prima fila tra le Regioni (in totale 5) che hanno imposto limiti all’utilizzo di impianti di riscaldamento basati sulla combustione di biomassa. Nel territorio, infatti, sono in vigore alcune limitazioni [1] permanenti per generatori di calore a biomassa legnosa (legna, cippato e pellet per stufe e caminetti)”. Nello specifico, dal primo gennaio 2020 è in vigore su tutto il territorio regionale il divieto di installare “generatori di calore alimentati da biomassa legnosa aventi emissioni superiori a quelle individuate per la classe ‘quattro stelle’ dal DM n. 186 del 7/11/17 [2]“, con cui è stata appunto definita la suddivisione in classi ambientali dei generatori di calore tramite numero di stelle. Non solo, poiché ad essere presente è anche il “divieto di utilizzo di generatori di calore alimentati da biomassa legnosa aventi emissioni superiori a quelle individuate dal DM n. 186 del 7/11/17 per la classe ‘tre stelle'”, dunque un divieto di utilizzo per i generatori da 0, 1 o 2 stelle. Per i trasgressori, poi, sono previste sanzioni che vanno da un minimo di 500 euro ad un massimo di 5.000 euro. C’è da precisare, però, che con una deliberazione [3] della Giunta regionale degli scorsi mesi sono stati previsti casi di esclusione o di deroga per alcuni impianti (come “i caminetti e gli impianti con potenza al focolare fino a 10kW utilizzati saltuariamente per scopi ricreativi e non per l’abituale riscaldamento”) ed inoltre è stato consentito di mantenere in esercizio, fino al 15 ottobre 2024, i generatori a biomassa che – installati a partire dal 20/12/2013 e fino al 18/09/2017 – rispettino le “disposizioni sul rendimento energetico e sulla conformità impiantistica approvate con la delibera regionale n. 1118/13”. Fino alla stessa data del 15 ottobre 2024, infine, possono essere mantenuti in esercizio anche tutti gli “impianti termici civili che costituiscono l’unica fonte di riscaldamento dell’abitazione”.

C’è poi il Veneto, dove sono stati similmente imposti divieti nei confronti di stufe e camini a legna appartenenti a classi particolarmente inquinanti. Nello specifico, con la delibera regionale n. 836/17 è stato stabilito che, a partire dal dicembre del 2019, non è più possibile installare generatori di calore con “classe di prestazione emissiva inferiore a 4 stelle” nonché “continuare ad utilizzare generatori di classe inferiore alle 3 stelle”. In Emilia Romagna, invece, vi è il Pair 2020 (Piano aria integrato regionale), il quale prevede alcune misure – da rispettare a partire dal prossimo 1 ottobre e fino al prossimo 30 aprile – atte a combattere l’inquinamento e migliorare la qualità dell’aria, tra cui appunto il “divieto di utilizzare le vecchie stufe a legna”. A riportarlo è il sito [4] della Regione, il quale parla del “divieto di utilizzo, in presenza di riscaldamento alternativo e sempre dal 1 ottobre al 30 aprile, delle caldaie inferiori alle 3 stelle nei comuni classificati non montani, situati cioè sotto i 300 metri di altitudine e dei camini aperti”. Proprio su questo punto, però, la Regione ha “aperto un bando, finanziato con 11,5 milioni di euro, per aiutare i cittadini residenti nei Comuni di pianura est, ovest e in quelli dell’agglomerato di Bologna a sostituire le vecchie caldaie con apparecchi meno inquinanti a 5 stelle o pompe di calore”.

Da menzionare, infine, la Toscana ed il Piemonte. Per quanto riguarda la prima, la legge regionale [5] 26 del 2 agosto 2021 ha stabilito, nei comuni in cui non è rispettato il valore limite delle concentrazioni relativo al materiale particolato (PM10) previsto dal decreto legislativo 155/2010, il divieto di utilizzo dei generatori di calore alimentati a biomasse con classe di prestazione inferiore alle 3 stelle, dal quale sono escluse solo le abitazioni nelle quali la biomassa sia la sola fonte di riscaldamento e quelle poste ad una quota altimetrica superiore ai 200 metri sul livello del mare. Nello specifico, come precisato sul sito [6] della Regione, i comuni soggetti al divieto sono “quelli compresi nell’area di superamento ‘Piana Lucchese'”. Venendo al Piemonte, invece, le prime restrizioni risalgono al 2018, ma è dal 1° ottobre 2019 che è entrato in vigore il divieto [7] di installare “generatori di calore alimentati a biomassa legnosa aventi una potenza nominale inferiore a 35 kW e classe di prestazione emissiva inferiore alla classe 4 stelle”, nonché di utilizzare – nei “Comuni appartenenti alle zone ‘Agglomerato di Torino’, ‘Pianura’ e ‘Collina’” – i “generatori di calore alimentati a biomassa legnosa con potenza nominale inferiore a 35 kW e classe di prestazione emissiva inferiore a 3 stelle”.

Va detto, per completezza di informazione, che le multe previste non stanno fermando il ritorno delle stufe nemmeno nelle regioni interessate. Si tratta infatti di infatti di norme di scarsissima applicazione, la cui violazione può essere verificata solo con improbabili controlli domestici da parte delle autorità di polizia.

[di Raffaele De Luca]