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Con la riforma Cartabia a rischio la confisca dei beni mafiosi: la denuncia di Libera

La riforma Cartabia potrebbe costituire un grande passo indietro nella lotta alla criminalità e alla corruzione per gli effetti nefasti che il meccanismo dell’“improcedibilità” produrrà sulla gestione delle confische dei beni: è questo l’allarme lanciato dall’associazione antimafia Libera alle forze politiche che, in Commissione giustizia, hanno votato il decreto legislativo che attua la delega con la riforma del processo penale. Un grido rimasto inascoltato, poiché il parere positivo “secco”, ovvero senza osservazioni o condizioni, proposto dal relatore Franco Vazio del PD, è passato con l’ok del partito guidato da Enrico Letta, della Lega, di Forza Italia e di Azione, con il solo voto contrario del Movimento 5 Stelle (che ha proposto un parere alternativo in cui si chiedeva di emendare il testo) e degli ex pentastellati di Alternativa. Invece Fratelli d’Italia, partito favorito per la vittoria delle elezioni politiche, ha optato per l’astensione.

Lo strumento dell’improcedibilità, “marchio di fabbrica” dell’azione governativa della Guardasigilli Marta Cartabia, che lo ha introdotto nella riforma che porta il suo nome, ha istituito limiti temporali fissi per i processi penali, il cui superamento provocherà direttamente la loro estinzione. In Appello, di base, non si potrà andare oltre ai due anni per i reati comuni e ai tre anni per quelli più gravi come la mafia. Il punto della questione sollevata da Libera ruota attorno al destino dei beni confiscati a persone giudicate colpevoli in primo grado, ma il cui processo sarà dichiarato “improcedibile” in secondo grado. Secondo l’accorata analisi [1] del procuratore di Tivoli Francesco Menditto, tra i magistrati più esperti in tema di confische nel nostro Paese e membro del consiglio direttivo dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, nelle norme del decreto Cartabia che regolamentano i rapporti tra improcedibilità e confisca disposta con la sentenza di primo grado sarebbero presenti “alcune criticità col rischio, qualora sia dichiarata l’improcedibilità, di un arretramento del principio per cui la criminalità da profitto si contrasta con la sottrazione delle ricchezze illecitamente accumulate”. La dichiarazione di improcedibilità del giudice di secondo grado, infatti, produrrebbe l’annullamento delle confische, mentre l’unica via percorribile dallo Stato al fine di riappropriarsi dei beni confiscati ai condannati in primo grado che in Appello potranno beneficiare dell’improcedibilità sarà la richiesta delle misure di prevenzione (che non vengono intaccate dall’intervento dell’improcedibilità).

“Prevedere che dall’improcedibilità – scrive Menditto – discenda la revoca della confisca di primo grado disposta nel processo penale, con l’unica possibilità di proporre sequestro e confisca di prevenzione, comporta che in molti casi la confisca sarà revocata pur in presenza di beni provento, diretto o indiretto, del reato anche di delitti di criminalità organizzata, tributari, in materia di corruzione, ma anche di criminalità da profitto comune”. Essendo attualmente in confisca definitiva 1/3 di beni per “confisca allargata o estesa” (i rimanenti lo sono invece per prevenzione), c’è dunque il rischio che buona parte delle confische effettuate fino ad ora possa andare in fumo.

Rifacendosi alle perplessità messe nero su bianco dal magistrato, in una nota [2] Libera ha dichiarato che “Si rischia un colpo di spugna nei confronti della confisca penale dei beni confiscati”. L’associazione di Don Ciotti ha auspicato “un ‘ripensamento’ del testo per evitare che i patrimoni acquisiti illecitamente siano restituiti per motivi formali derivanti della improcedibilità per decorso dei termini”: l’invito era stato raccolto dal Movimento 5 stelle, i cui esponenti in Commissione avevano chiesto di implementare “la disciplina relativa in caso di intervenuta improcedibilità, in modo da poter portare avanti il procedimento in Appello (anche) ai soli fini della confisca”. Ma le forze politiche più vicine alla ministra Cartabia hanno fatto orecchie da mercante, approvando il testo senza modifiche.

[di Stefano Baudino]