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L’Italia è l’unico paese UE senza un piano di adattamento contro gli eventi estremi

L’alluvione che ha colpito le Marche causando una decina di vittime e centinaia di sfollati ha dei responsabili. E lo stato Italiano è indubbiamente fra questi. Da un lato, per non aver agito in tempi utili contro le cause del cambiamento climatico e, dall’altro, per non aver pensato ad un adeguato piano di adattamento alle sue ormai inevitabili conseguenze. Mentre però la prima responsabilità accomuna un po’ tutti i Paesi industrializzati, l’altra è una nostra esclusiva peculiarità. In Italia, infatti, manca ancora un Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico e ai grandi eventi atmosferici, nonostante la nostra Penisola sia una delle nazioni più esposte e vulnerabili ai sempre più frequenti fenomeni meteorologici estremi. L’unica informazione di cui si dispone è che l’iter per l’approvazione del documento è partito nel 2016, per poi di fatto arenarsi l’anno successivo.

Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC) delineerebbe una strategia ben definita: l’obiettivo è prepararsi al meglio per contrastare, senza troppe ripercussioni, gli effetti del riscaldamento globale. Adattarsi, per l’appunto. In un Paese già in piena crisi climatica, a cui si somma un intrinseco rischio di dissesto idrogeologico, un piano simile avrebbe dovuto essere una priorità. Ma così non è stato. Il non aver agito sulla mitigazione delle temperature, per quanto ingiustificabile, è cosa indubbiamente più complessa. Non a caso, anche se complice più di un conflitto d’interesse, quasi tutti i Paesi hanno fallito al riguardo. Se non altro, riconoscendo il fallimento, chi più chi meno, buona parte ha cercato però di rimediare, quantomeno tutelando la popolazione mediante la definizione e la tempestiva approvazione del già citato Piano. In Italia, no. Da noi, una parvenza di elaborazione è partita, sulla base della Strategia nazionale di adattamento al clima (SNAC) del 2015, nel maggio 2016. Nel 2017, è stata presentata la bozza [1] del Piano la quale, tuttavia, non è mai stata revisionata o approvata.

Nonostante siano passati nel frattempo 3 governi, il documento resta quindi nel cassetto e i dati che contiene diventano, ogni giorno che passa, più obsoleti. Eppure, l’Italia ne avrebbe bisogno più di chiunque altro. La nostra Penisola è il Paese europeo con la più alta esposizione al rischio alluvionale. In uno scenario [2] di aumento di temperatura pari a tre gradi al 2070, i costi diretti in termini di perdita attesa di capitale infrastrutturale si aggirerebbero tra gli 1 e i 2,3 miliardi di euro annui nel periodo 2021-2050, e tra gli 1,5 e i 15,2 miliardi di euro annui nel periodo 2071-2100. Per non parlare poi delle perdite in termini di vite umane, degli impatti sociali ed ecologici, nonché delle altre conseguenze della crisi climatica. Secondo i dati [3] dell’Osservatorio Città Clima, da gennaio a luglio 2022, in Italia hanno già avuto luogo 132 eventi meteorologici estremi, il numero più alto della media annua dell’ultimo decennio. Preoccupante anche il dato complessivo degli ultimi anni: dal 2010 a luglio 2022, nel Belpaese sono stati registrati 1318 eventi estremi, con impatti molto rilevanti in ben 710 comuni.

Una mancanza che ha già avuto pesanti ricadute economiche. Negli ultimi 40 anni, nella penisola italiana frane e alluvioni hanno causato danni per 51 miliardi di euro. Si tratta del dato più rilevante in Europa: secondo quanto riportato dall’EEA (European Environment Agency), al secondo posto vi è la Germania, con 36 miliardi, e la Francia, con 35. Se l’installazione di argini, casse di espansione e sistemi di allerta ha contribuito a ridurre il numero delle vittime, la portata degli eventi climatici è tuttavia in costante crescita: negli anni passati, infatti, i nubifragi comportavano la caduta di 100 millimetri di pioggia nell’arco di una giornata, mentre, a titolo di esempio, nel corso dell’alluvione che si è abbattuta sulle Marche nei giorni scorsi ne sono caduti 400 in meno di 8 ore.

[di Simone Valeri]