mercoledì 24 Aprile 2024

Iran, esplodono le proteste dopo l’omicidio di Mahsa Amini

Sarebbero almeno cinque le persone morte nel corso delle proteste che nella giornata di lunedì 19 si sono svolte in diverse città del Kurdistan iraniano in seguito alla morte di Mahsa Amini. La ragazza, studentessa di 22 anni originaria della città curda di Saqqez, è morta il 16 settembre scorso in seguito all’arresto da parte della polizia religiosa di Teheran poiché non indossava correttamente il velo. Da allora si sono moltiplicate le proteste della popolazione, con le donne che sui social hanno postato video mentre si tagliavano i capelli o mentre si toglievano o bruciavano l’hijab (crimine di estrema gravità in Iran) e gli studenti che si sono riversati nelle piazze di diverse città, tra le quali Rasht, Mashhad e Isfahan. Le Guardie Rivoluzionarie iraniane, le quali per anni hanno soppresso violentemente le ribellioni curde imprigionando o condannando a morte gli attivisti, hanno messo in atto una violenta repressione, per il momento non sufficiente a fermare la rabbia della popolazione curda. Il timore è che la morte di Mahsa costituisca la scintilla in grado di riaccendere le tensioni tra le minoranze curde (tra gli 8 e i 10 milioni di persone nel Paese) e il governo dell’Iran, già segnate da una lunga storia di ribellioni represse nel sangue.

I dati sono riportati da Hengaw, l’organizzazione indipendente che indaga le violazioni dei diritti umani nelle zone curde dell’Iran, la quale parla anche di almeno 75 persone ferite nel corso degli scontri di lunedì, ma non vi sono conferme da parte di organi ufficiali. La TV di Stato ha parlato di diversi arresti, ma ha negato fermamente la morte di manifestanti. L’episodio scatenante è avvenuto la settimana scorsa, quando Mahsa Amini, che si trovava a Teheran con la famiglia, è stata arrestata da una pattuglia perché dal velo fuoriusciva una ciocca di capelli. Tre giorni dopo l’arresto, Mahsa ha perso la vita: le autorità iraniane hanno cercato di sostenere che la ragazza soffrisse di condizioni mediche preesistenti, ma la famiglia ha categoricamente smentito tali affermazioni. L’ipotesi più accreditata è che Mahsa sia morta in seguito a un violento pestaggio messo in atto dalla polizia. La rabbia dell’opinione pubblica è esplosa incontenibile appena dopo la notizia del suo decesso: solo su Twitter sono oltre tre milioni i post apparsi con il nome di Mahsa in poche ore.

I manifestanti chiedono che sia fatta luce sulle cause della sua morte e che l’organismo della polizia morale sia smantellato una volta per tutte. A centinaia si sono riversati nelle strade di Teheran e di altre città, intonando cori contro la polizia e incendiando cassonetti e altri oggetti. Il centro della città è stato blindato, con numerosi agenti in borghese e in tenuta antisommossa avvistati in tutta l’area, mentre il servizio di internet mobile è stato temporaneamente interrotto. Le proteste sono proseguite anche oggi.

Ebrahim Raisi, l’attuale presidente ultraconservatore dell’Iran, ha promesso di aprire un’inchiesta su quanto accaduto, nonostante sia stato lui stesso ad inasprire le leggi che la polizia della morale è incaricata di far rispettare e che hanno portato alla morte di Mahsa. Il rischio è che ora la frustrazione culturale, sociale e politica della popolazione esploda in forma violenta: l’Iran ha infatti una lunga storia di proteste poi represse nel sangue, a partire dal 2009 con le elezioni truccate da Ahmadinejad fino ai più recenti movimenti di protesta scatenatisi nel 2019, che hanno causato centinaia di vittime.

[di Valeria Casolaro]

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